Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Il mio live adriatico» Piano, fisarmonica e il sound di Minafra
Pubblicato il live dell’artista pugliese con la fisarmonicista Eugenia Cherkazova
Cercava l’alter ego. E ha trovato mister Hyde in una donna, Eugenia Cherkazova, virtuosa di fisarmonica. «Uno strumento che ho suonato per tanto tempo e sento profondamente mio», dice doctor Jekyll-Livio Minafra, il trentottenne pianista di Ruvo di Puglia che con la musicista greco-ucraina ha dato alle stampe il disco Roundtrip Apulia Balkans. Lo ha pubblicato l’etichetta Incipit con distribuzione Egea. Un album live sostenuto da Puglia Sounds che racchiude una serie di performance del duo a Ruvo per il Festival «Wanda Landowska» e il «Talos» e a Corato per il Festival «Euterpe». «Ma su molti altri piani spiega Minafra - il tema del doppio è la filigrana di tutto il progetto».
Su quali altri livelli si sviluppa?
«Innanzitutto rispetto alle geografie sonore, tra le sponde dell’Adriatico. Diciamo di sentirci a casa a Parigi, Londra e New York, ma per secoli la nostra interfaccia sono stati i Balcani. Basta guardare il campanile di piazza San Marco, a Venezia, o pensare ai saraceni, alle radici magno-greche, alla comunità arbëreshë. Non mi sono alzato una mattina ed ho estratto un tema a sorte come si fa con il gioco del lotto. Nei tempi dispari, nella polimodalità sento una base comune tra Puglia e Balcani, che naturalmente abbiamo trattato sotto l’egida della modernità».
Un’altra dualità risiede nel contrasto tra nobile e popolare, rappresentati da pianoforte e fisarmonica?
«Parliamo di due strumenti cugini la cui estrazione è intimamente legata alla trasportabilità della fisarmonica rispetto al pianoforte, classico strumento da salotto e, per questo motivo, “nobile”. Insieme rappresentano una bella scommessa. Una specie di coppia moderna, che vive senza preoccuparsi delle convenzioni».
Altri doppi?
«Il mio rapporto con la composizione. Mi piace suonare la musica degli altri, ma scrivere mi rappresenta, è una parte di me».
C’è poi la componente live di questo disco.
«La qualità non perfetta delle registrazioni aiuta a restituire certi suoni, quando da questa parte dell’Adriatico riuscivamo a sintonizzarci su Radio Tirana ed ascoltare quei tempi e quelle sonorità strane. Questo disco sa di spezie. È come entrare in un vecchio caffè di Sofia, Pristina, Smirne o Sarajevo. È un viaggio Puglia-Balcani andata e ritorno».
Goran Bregovic ha avuto la sua importanza nel far esplodere il fenomeno della musica balcanica.
«Sicuramente, ma allo stesso modo in cui Giovanni Allevi ha avuto il merito di far accostare al pianoforte tanta gente che non aveva mai ascoltato la classica. O il ruolo che ha avuto la Notte della Taranta nel far conoscere la pizzica che, non dimentichiamolo, era musica domestica. Per strada, nel Salento dominavano le bande, oggi praticamente scomparse».
Tra le riletture del disco ci sono proprio tre tarantelle.
«Quella che Rossini ha rubato ai tarantini, spacciandola per napoletana, una vecchia nenia di Ruvo, conosciuta anche a Terlizzi, e la classica tarantella di Athanasius Kircher, sorta di Leonardo che transita nel Salento e scopre la pratica di questa musica terapeutica».
Parliamo dei cinque inediti: Danza Tartara, Lacrime stelle, Zefiro torna, Boomerang e Tartar Mix. Sono il frutto di un’operazione di sincretismo?
«L’ultimo pezzo è un remix che ha rappresentato l’occasione per ritrovare Nico Marziale, col quale abbiamo condiviso l’esperienza della Municipale Balcanica. Per il resto ho cercato di riportare le lancette indietro nel tempo, a quando tra le sponde dell’Adriatico non c’erano barriere. Mi è venuto naturale. Perché lì sono le mie radici».