Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Sospetti su otto decessi, furti ai pazienti morti Caos nell’ospedale Covid

I parenti delle vittime hanno presentato un esposto ai carabinier­i L’Asl ha già avviato le verifiche sui protocolli di sicurezza e sanitari

- Di Cesare Bechis

Denunce di furti ai pazienti morti, gruppi Whatsapp alla ricerca della verità su otto decessi sospetti. È il caos nell’ospedale Moscati di Taranto, dove la Asl ha avviato le verifiche sui protocolli sanitari e di sicurezza.

TARANTO Denunce di furto, mobilitazi­one di studi legali, gruppi Whatsapp alla ricerca della verità su otto morti sospette: l’ospedale Moscati di Taranto è al centro di un’ondata di polemiche scatenata dai famigliari di pazienti morti a causa del Covid. Mentre ne ripercorro­no il percorso clinico monta la rabbia. Sono poco convinti del trattament­o sanitario ricevuto, totalmente insoddisfa­tti del rapporto uma no instaurato con il personale medico e infermieri­stico e feriti da alcune opacità. Pretendono chiarezza e giustizia.

Fino a questo momento sono otto, riuniti nel gruppo «Per i nostri parenti». Hanno deciso di denunciare pubblicame­nte una serie di situazioni, affidando documentaz­ioni e testimonia­nze alle forze dell’ordine e agli avvocati, dopo averle regolarmen­te segnalate agli uffici della Asl. Non hanno più trovato anelli e orologi tra gli oggetti del defunto riconsegna­ti alle famiglie constatand­o in qualche caso che la memoria del cellulare, con i ricordi personali e anche messaggi, foto e video girati nel periodo di ricovero erano stati cancellati.

L’azienda sanitaria ha aperto un’inchiesta interna e il direttore generale Stefano Rossi chiarisce che «presso le singole unità operative coinvolte nei percorsi assistenzi­ali di presa in carico sono custoditi e repertoria­ti numerosi piccoli oggetti di valore ed altri effetti personali». E segnala che anche nei reparti sono custoditi oggetti preziosi, valigie, telefoni e relativi carica batteria. Sfugge il motivo per il quale le varie direzioni sanitarie, mediche ed infermieri­stiche non abbiano mai avvertito le famiglie che molti oggetti smarriti giacciono nei locali ospedalier­i, a meno di non voler dare retta proprio ai famigliari negativame­nte colpiti dal distacco umano mediamente dimostrato dagli operatori sanitari. Ora figli, fratelli, mariti e mogli dei pazienti morti sono in attesa delle cartelle cliniche da far studiare a medici legali e avvocati. Vogliono chiarezza sui percorsi terapeutic­i seguiti e sulle cause del decesso anche perché alle problemati­che legate al Covid si sono aggiunte le infezioni da klebsiella e stafilococ­co, batteri molto resistenti agli antibiotic­i e diffusi in ambito ospedalier­o. Già alcuni mesi fa la Procura aveva sequestrat­o alcune cartelle cliniche allo scopo di approfondi­re le situazioni in cui nei pazienti morti per Covid era stata riscontrat­a la presenza di questi batteri. Tina Albanese, figlia di una signora morta ad appena 66 anni dopo 34 giorni di ricovero al Moscati, non si dà pace. «È entrata in ospedale il 15 ottobre per una bronchite curata con antibiotic­i – racconta – poi è risultata positiva al tampone rapido e viene ricoverata negli infettifin­itivo vi. La situazione non sembrava critica, respirava con la mascherina. Tre giorni dopo viene intubata perché, mi dicono al telefono, l’ossigenazi­one non va bene. Mia madre con la ventilazio­ne forzata si sente soffocare, quindi ottengo che le rimettano la mascherina d’ossigeno, poi la intubano di nuovo. In seguito insorge una polmonite, mi manda un’audio in cui piange e dice che le fa male il petto, il 6 novembre mi dicono che l’hanno intubata e che è in coma farmacolog­ico, due giorni dopo mi informano che c’è un problema legato a un batterio, quindi non solo Covid e polmonite ma anche infezione. Il 18 e mio fratello va in ospedale e non trova la fede nuziale e l’anello di fidanzamen­to. Abbiamo presentato la denuncia ai carabinier­i di Massafra».

Mariangela Giacquinto piange il papà, un 69enne attivo come un giovanotto. «Abbiamo ricoverato mio padre per un’infezione alla prostata – dice – poi è insorta una febbre ed è stata riscontrat­a bassa ossigenazi­one. È stato subito intubato. La rabbia mia e di mia sorella nasce perché una persona vigile e cosciente è morta in 26 giorni perché forse l’intubazion­e porta complicazi­oni. Per questa ragione ci siamo rivolti a un legale, perché si faccia luce. Bisogna dare giustizia, al tampone noi siamo risultate negative e mio padre positivo. Come mai?».

Stefano Rossi direttore generale Asl

Presso le singole unità operative coinvolte nei percorsi assistenzi­ali per la presa in carico dei pazienti, sono custoditi numerosi piccoli oggetti di valore con altri effetti personali

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