Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il pm accusa De Benedictis: «Pericolo per la collettività» Domani terzo interrogatorio
Al centro la questione delle armi. I difensori: «Risponderà»
Terzo interrogatorio in
BARI meno di un mese per l’ex gip del Tribunale di Bari, Giuseppe De Benedictis. Domani mattina alle 10 e 30 nel carcere di Lecce, dove è detenuto dal 24 aprile scorso per corruzione in atti giudiziari, dovrà rispondere alle domande del giudice Giulia Proto nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Lecce su un arsenale da guerra sequestrato nelle scorse settimane ad Andria e che il 13 maggio scorso gli è costato un secondo arresto: la stessa accusa, traffico e detenzione di armi, è stata mossa anche al caporal maggiore scelto dell’Esercito italiano, Antonio Serafino, in carcere da giovedì.
L’ex giudice di Bari, difeso dagli avvocati Saverio Ingraffia e Gianfranco Schirone, è stato già sentito dal gip Proto lo scorso 29 aprile per l’indagine sulla corruzione e qualche giorno dopo è stato nuovamente ascoltato dai pm salentini nell’ambito della stessa indagine. Domani invece sarà sottoposto al nuovo interrogatorio di garanzia sulla questione delle armi e - stando a quanto riferito dai suoi avvocati - risponderà alla domande del giudice. Anche l’interrogatorio di Serafino, assistito dall’avvocato Filomeno Ruta, è fissato per domani e si celebrerà da remoto, con l’indagato collegato dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dove è detenuto.
L’indagine sull’arsenale (scovato dai poliziotti della squadra mobile di Bari il 29 aprile scorso) avrebbe accertato che a procacciare le armi sarebbe stato il caporal maggiore scelto e l’ex gip di Bari le custodiva in una botola all’interno della masseria di un suo vecchio amico imprenditore, Vincenzo Tannoia, finito in manette dopo la scoperta dell’arsenale. Ad incastrare De Benedictis e Serafino ci sono, tra le altre cose, le numerose intercettazioni ambientali captate dalla polizia, nell’auto del militare dove i due parlavano di armi, del trasporto, del valore e del timore che un eventuale «rinvenimento» delle armi avrebbe potuto «smascherare» la loro provenienza, «perché risalgono a chi non devono» dicevano in auto. Per questo le indagini della polizia vanno avanti e si focalizzeranno sull’eventuale coinvolgimento di «altri pubblici ufficiali, in specie appartenenti ai carabinieri e comunque alle forze dell’ordine». La Procura di Lecce ipotizza una «possibile sottrazione di talune delle armi in sequestro all’Esercito italiano, plausibilmente con la compiacenza se non proprio con il contributo positivo di altri pubblici ufficiali infedeli che hanno garantito, anche, copertura. Basti solo pensare all’utilizzo di cinque carabinieri da parte del magistrato per il trasporto delle armi».
Nel provvedimento cautelare il gip Giulia Proto scrive che i due indagati se fossero liberi potrebbero costituire «un pericolo per la collettività». In un passaggio delle carte in cui motiva le esigenze cautelari spiega che i due «possono contare su una fitta rete di protezione» e motiva la custodia cautelare in carcere perché diversamente potrebbero «aggirare le prescrizioni e i controlli in ragione dei collegamenti in contesti sia istituzionali che non istituzionali (anche di criminalità organizzata, non solo a livello locale). Ne consegue spiega ancora il gip - che la custodia in carcere appare l’unica misura idonea a garantire la indispensabile interruzione dei rapporti tra gli stessi coindagati ma anche con altri soggetti operanti all’esterno». Aggiunge ancora il giudice che «la quantità e la micidialità delle armi rinvenute fa pensare all’arsenale di una cosca di mafia di altissimo livello e la gravità e la pluralità dei delitti commessi costituiscono chiaro indice di presunzione di impunità estremamente radicata e di una propensione al delitto certamente non suscettibile di contenimento di una misura che presuppone una capacità di autocontrollo da parte degli indagati che è certamente insussistente. Vi è dunque - conclude il gip - una elevatissima pericolosità per fronteggiare la quale è assolutamente indispensabile la misura di massimo rigore».
Il caporal maggiore
Lunedì in video, dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, sarà sentito anche Antonio Serafino