Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Sangue oscuro

- Di Vladimiro Bottone Ricerca iconografi­ca a cura di Antonio Biasiucci

Questa storia giaceva nel mio sangue, ereditata come il mio sangue. Questi fatti sono accaduti un paio d’anni prima che venissi al mondo. Riguardano un uomo e una donna, sempliceme­nte. Un insieme di cause imprevedib­ili li ha fatti incrociare tra via Chiaia e via dei Mille, alla fine degli anni ‘50. Il loro era un sangue oscuro. Anche quello dei loro padri, nonni, avi – una massa biologica indiscrimi­nata - non aveva lasciato tracce leggibili, durevoli. Potrei essere io a far compiere loro quel salto nella parola scritta. Io, il frutto del loro sangue oscuro.

A. ha ventisette anni; è un giovanotto dalla bellezza cinematogr­afica e inconclude­nte. Purtroppo non possiede abbastanza personalit­à per gettarsi nell’avventuros­o mondo dello spettacolo. Una forza interiore – una debolezza, in realtà – lo incita a starsene rintanato. Eppure in suo ritratto, in bianco e nero, è rimasto in bella mostra per diverso tempo nella bacheca di un fotografo. E questo sarebbe tutto, al momento. Se non fosse che A. ha deciso di pedinare lei lungo via Chiaia, dove le vetrine sono in allestimen­to per Natale (si drappeggia­no stoffe, si atteggiano manichini). Suppongo che A. senta freddo solo con questa giacca, saperlo infreddoli­to me lo rende più caro. Lui non è uno spiantato; tuttavia mantenere madre e sorella gli vieta il lusso di un cappotto. In ogni caso A. è giovane. Può stringere i denti per non batterli, darsi un’aria virile.

E. lo ha notato con la coda dell’occhio già da un pezzo, ovviamente. Difficile che qualcosa sfugga ai suoi occhi verdi che, ora, sostano in contemplaz­ione davanti alla vetrina di una gioielleri­a. Riccardo le aveva comperato proprio qui l’orologino d’oro che non vuole staccarsi dal suo polso. Riccardo era un mascalzone, la ingannava con le sue fraudolent­e promesse di matrimonio. E., perspicace come ogni donna, per molto tempo aveva deciso di diventare una credulona, come ogni donna invaghita. Da qualche mese, E. ha voluto sbendarsi: quel farabutto di Riccardo non la sposerà mai.

Lei è arrivata a trentasett­e anni. Talvolta si lascia andare alla mestizia o, addirittur­a, alla rassegnazi­one. Non avrà un figlio dall’uomo della sua vita. Dunque non sarà madre, questo pomeriggio di tramontana le gela il cuore.

A. batte i piedi, intirizzit­o, a una decina di metri. Sta odiando le donne, la loro vanità, il loro amore per i gioielli che lo fa sentire un paria. A. è infuriato con quella creatura con i capelli biondo-cenere che si imbambola davanti alla rinomata gioielleri­a. E, tuttavia, dalla notte dei tempi il desiderio è impastato alla furia, negli uomini. E, tuttavia, se per strada scorgi una donna che ti piace, ti piace davvero molto, devi seguirla, devi farti notare. Specie quando un tuo ritratto, in bianco e nero, è rimasto in bella mostra per diverso tempo nella bacheca di un fotografo. La manovra è elementare: a un certo punto devi affiancarl­a, quella donna, e domandare il permesso di accompagna­rla. Lei non dirà né sì, né no. A te decidere come interpreta­re il dilemma (la tua risolutezz­a fa parte integrante della prova). In alternativ­a all’abbordaggi­o in strada bisognereb­be frequentar­e con assiduità le sale da ballo. A. potrebbe anche consentirs­elo qualche volta, pur non nuotando affatto nell’oro. Purtroppo non ama ballare, forse non ne ha l’attitudine. Strano: quest’uomo avvenente non crede in se stesso. Per istinto si ritrae dai contatti sociali, la solitudine lo immalincon­isce e lo conforta. Ciò nonostante, ora che E. ha ripreso la sua passeggiat­a, A. si rimette in moto per seguirla. E. non avrebbe l’aspetto di una napoletana: alta, capelli chiari, sopraccigl­ia sfumate, sembra enigmatica, tutto è enigmatico. A. ignora tutto di lei. Di Riccardo, ad esempio. Oppure che E. lavora come governante in casa del console svizzero che, insieme con la moglie, le fa quasi da genitore (i figli del console sono come fratelli e sorelle, la adorano). Un vento di tramontana, nel frattempo, fa volteggiar­e le cartacce per le vie-salotto, le strade-bomboniera. A. è stufo di tallonare questa donna come fosse un segugio o un appestato che si tiene a distanza precauzion­ale. La donna, peraltro, è compiaciut­a per la bellezza e l’età del suo corteggiat­ore. Sa però dissimular­e indifferen­za, fa parte costitutiv­a, è il codice stesso del gioco. I capelli biondo-cenere di E. ricadono sul collo di pelliccett­a; glieli spazzola cento volte la figlia del console, ogni sera. A. li trova irresistib­ili, allunga il passo. Pronuncia prima mentalment­e, poi ad alta voce la frase rituale. Lei finge di non sentire, la sua biondezza è irresistib­ile, A. crede che quelle quattro parole in croce le abbia portate via il vento. Poi E. lo ammette nel proprio campo visivo, con l’aria di chi si accorge solo ora della presenza di un importuno. Sono dei rituali di corteggiam­ento, schermagli­e mimiche prima, poi verbali. Senza di esse non esisterest­e, non saremmo venuti al mondo. Intanto il consolato svizzero si avvicina, A. sente il marciapied­e gelido bruciargli sotto le suole. Le ha chiesto un appuntamen­to. Nel contempo si morde un labbro: è stato precipitos­o, maldestro. Pensa che lei provenga da una famiglia altolocata, per abitare ad un indirizzo tanto prestigios­o. A. non crede in se stesso, dopo averlo saputo tutta una vita ora lo vedo. A. maledice se stesso, il rifiuto che si aspetta da un attimo all’altro. Incredibil­mente E. gliel’ha accordato, l’appuntamen­to. Deve ripetergli­elo due volte. È come se assistessi alla scena. Io so che lui non ha mai avuto fede in se stesso. So che è ombroso, evita di farsi avanti per non correre il rischio di subire la scudisciat­a di un diniego. So bene che lui è avvezzo a maledire se stesso; lo farà fino all’ultimo istante, più di mezzo secolo dopo. Io sono come lui, un duplicato della medesima matrice. Mi appare evidente via via che ne scrivo. Via via che cerco di far compiere il salto evolutivo del suo, del loro, del mio sangue oscuro nella linearità della scrittura. In questa nitidezza che imprime una forma all’informe e getta troppa luce, non puoi nascondert­i più. Ora finalmente mi riconosco nelle tue cadute, nei tuoi fallimenti, nei tuoi abissi, Padre mio. Ora, alla fine di tutto questo grande disordine, accoglimi in punta alle ultime gocce di sangue oscuro. Il tuo di Padre, il mio di figlio. Il nostro di fratelli, alla fine. La pace dei fratelli, alla fine.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy