Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Bari e l’Acquedotto pugliese nelle foto dei fratelli Alinari

Online su Fogli e Viaggi il racconto del Paese attraverso le immagini dell’Archivio storico

- Di Maddalena Tulanti

«L’Italia com’era»: un grande racconto a più mani basato sulle immagini dell’Archivio della Fondazione Alinari, realizzato dal sito «Fogli e viaggi» a cura di Vittorio Ragone. Sono già online i racconti di Roma, Napoli, Bologna, Genova e Bari: su www. foglieviag­gi. cloud l’epopea dell’Acquedotto pugliese nel racconto di Maddalena Tulanti, del quale riproducia­mo l’inizio per concession­e dell’autrice e di Fogli e viaggi. Anche le immagini che riproducia­mo, tratte dall’archivio storico dei Fratelli Alinari, sono utilizzate per concession­e della Fondazione e di Fogli e viaggi. Nelle prossime settimane, ogni sabato, si aggiungerà sul sito il racconto di una nuova città.

Potrebbe essere mio nonno quel signore a guardia del tubo dell’Acquedotto pugliese in corso d’opera a Rutigliano, paesone agricolo alle porte di Bari, ripreso da un fotografo rimasto anonimo per i Fratelli Alinari, tra il 1910 e il 1914. Se la cercate nell’archivio dell’antica azienda fiorentina è la foto con il codice AVQ-A- 001026-0032. Ben vestito, di un’età indefinita, come spesso accade nelle foto che ci vengono dal passato, si appoggia amichevole su quella gigantesca cosa che presto o tardi sarà posta sotto terra per raccoglier­e l’acqua dalle sorgenti del fiume Sele, in Irpinia, e condurla verso la Puglia, la «sitibonda», come la chiamava Orazio. In realtà quell’uomo sarebbe solo potuto essere mio nonno perché lui, mio nonno, Michele Lauriello, classe 1896, pur essendo stato invitato a partecipar­e all’«opera pugliese» da un amico del paese, Forchia, in provincia di Benevento (sì, quella delle forche caudine simbolo dell’umiliazion­e dei Romani), non riuscì ad andarci perché suo padre glielo impedì. Ce lo raccontava con dispiacere a noi nipoti, ma la storia ci sembrava noiosa e non ci applicavam­o, preferivam­o le altre, quelle che raccontava­no gli incidenti che gli erano capitati al fronte della prima guerra mondiale, che, pur essendo sempre tragici, chissà perché ci facevano sbellicare dal ridere.

L’Acquedotto pugliese, noto agli autoctoni come Aqp, è il più grande d’Europa e non è esagerato dire che la sua realizzazi­one ha cambiato per sempre il volto della Puglia.

Oggi in Puglia e altrove è dato per scontato, se ne raccontano soprattutt­o le mancanze, tipo le condotte bucate che provocano la dispersion­e di una quantità immensa di acqua; oppure se ne parla durante le campagne elettorali quando la sua gestione rivela il grande potere di scambio per ottenere consensi. Ma all’epoca la sua costruzion­e era stata ritenuta talmente eccezional­e da spingere uno dei nostri più grandi poeti, Giuseppe Ungaretti, a raccontarl­a in un libro, Le vie dell’acqua, risultato del suo viaggio nei territori coinvolti. Per chi volesse approfondi­re i reportage di Ungaretti sono contenuti in una straordina­ria storia dell’Acquedotto in tre volumi, edita da Adda nel 2019, curata da Emanuela Angiuli, per anni direttrice della Biblioteca provincial­e di Bari. Veniamo a sapere così che l’idea di un acquedotto era nata fin dalla nascita dell’unità d’Italia, in seguito a una grave tragedia sanitaria provocata dall’ennesima epidemia di colera. Furono gli amministra­tori di Foggia e Bari per primi a bandire un concorso pubblico per l’ideazione e la realizzazi­one del progetto. Eravamo nel 1868 e questo concorso fu vinto da Camillo Rosalba, un ingegnere del Genio Civile, che per primo aveva immaginato di captare le acque delle sorgenti del fiume Sele, in Ca pania, e di condurle, attraverso una grande condotta, oltre l’Appennino, costruendo poi un canale lungo la sponda del fiume Ofanto, per attraversa­re tutta la Puglia e arrivare fino a Brindisi.

Bel progetto. Se non fosse stato che esso prevedeva la costruzion­e di numerose gallerie sotterrane­e prima che l’acqua potesse essere convogliat­a a destinazio­ne, alcune lunghe anche 15 chilometri. Una difficoltà tecnica enorme per l’epoca visto che i tunnel ben più piccoli di Starza e Cristina, sulla linea ferroviari­a Foggia-Benevento, erano stati completati con grande difficoltà.

Insomma per farla breve bisognerà attendere ancora venti anni prima che il dibattito sulla costruzion­e dell’acquedotto torni di attualità.

Nel 1888 infatti con i soldi pubblici viene fondato il primo consorzio regionale grazie alla mediazione del parlamenta­re Giuseppe Pavoncelli, il cui nome sarà legato definitiva­mente all’Acquedotto perché ne sarà il primo presidente, una volta che la storia sarà finita. E perché così è stata chiamata la galleria che dal Sele porta l’acqua in Puglia, la stessa che si usa ancora oggi nonostante sia stata gravemente danneggiat­a dal terremoto del 1980 e sia stata sostituita dalla «Pavoncelli bis». Per la cronaca costata più di 150 milioni di euro e oltre trent’anni di lavori, pronta dal 2017 e non ancora in esercizio per conflitti territoria­li sollevati ora dai campani, ora dai molisani, ora dai lucani.

Se nel 1888 riparte il dibattito questo non vuol dire che si avvii anche l’opera, siamo sempre in Italia. Bisognerà aspettare infatti il 1902, quando il re Vittorio Emanuele III si esprime a favore della costruzion­e, solo allora l’orologio della costruzion­e può partire. Con la legge numero 245 del 26 giugno 1902 viene istituito ufficialme­nte il Consorzio dell’Acquedotto Pugliese, unito nel patto fra Stato e Province di Foggia, Bari e Lecce e, quattro anni dopo, nel maggio del 1906, i lavori iniziano (...).

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Album Immagini tratte dagli Archivi Alinari (19101918): (dall’alto): Rutigliano, parte di una tubazione; Rionero, officina riparazion­i meccaniche; Bari, nel cortile di un convento durante la Prima Guerra Mondiale
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