Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il viaggio di Italo Calvino verso «Finibusterre»
Italo Calvino è stato molte cose. Partigiano, scrittore, giornalista, conferenziere, traduttore, soggettista e sceneggiatore per il cinema e la televisione, autore di testi per musica, operatore nell’ambito dell’editoria, e di una editoria appartenuta a una stagione molto ricca della cultura nazionale. È stato anche un grande autore di reportage: narrazioni nelle quali l’anima dei luoghi e degli incontri è svelata in piccoli dettagli di cose, movimenti, atti non irregimentati e procedenti da una modalità di racconto divagante ma compiuta. Un suo, e non solo suo, bel libro di reportage è quello appena rimandato in libreria dall’editore Besa Muci con il titolo di Finibusterre, per la cura di Antonio Lucio Giannone.
Nei due testi che lo compongono gli autori, Calvino e Franco Antonicelli, raccontano di un loro viaggio in Puglia, a Bari e a Lecce, risalente al 1954, per partecipare alla «Settimana Einaudi». Per Antonicelli, intellettuale allora molto noto e firma prestigiosa del catalogo della casa editrice piemontese, si trattò di un ritorno alle radici, essendo il padre pugliese ed avendo vissuto i suoi primi anni a Gioia del Colle. Per Calvino, invece, il viaggio coincise con la scoperta del Sud.
Un Sud che non lo colpì nella sua faccia salentina, barocca, verso la quale anzi manifestò nette ed illuministiche riserve. Un barocco dei luoghi che, come è sottolineato, raggiunge il suo massimo splendore nell’esterno molto più che nell’interno degli edifici, e che a lui si mostrò tratteggiato da «sfrenati attorcigliamenti», materici e ridondanti, gattopardeschi. Nelle cui pieghe, però, Calvino seppe cogliere l’emergere di una feconda contraddizione, di un diffuso fervore della Lecce civile e culturale di allora, dai «numerosi fermenti, molto seri e nuovi» capaci di riassumersi e rappresentarsi nelle figure di Vittorio Bodini e della sua rivista Esperienze poetiche.
Un Sud in bilico tra due poli, non facilmente riconducibili ad unità. Che trovavano però a suo giudizio nell’altra città, Bari, e nel suo territorio, una sintesi più compiuta. Una città «culturalmente viva», che ruotava intorno alla casa editrice Laterza ed alla sua tradizione antifascista crociana e salveminiana, circondata dalla vastità insondabile di una provincia che lo folgora per la «spoglia bellezza dei suoi paesi, che pure manifestano un travaglio umano tanto antico e profondo». Un territorio, quindi, che è il punto di caduta di una narrazione meridionalistica che allora si dispiegava con forza, ricordata attraverso i nomi di Scotellaro, i due Fiore, Dorso, Carlo Levi. Autori presentati con rapidi tocchi, tranne l’ultimo, Levi, che è oggetto di un ritratto vivissimo.
L’altro testo, che poi è quello che dà il titolo al libro, è di Antonicelli. Il resoconto del viaggio qui è più dettagliato ed ha un andamento esplicitamente narrativo. Il Sud che si ritrova è il proprio mondo ancestrale ed in esso vive l’incanto di una fanciullezza ormai passata. Tutto è domestico. Il barocco non ha la gran vena oratoria che ha in altri luoghi ma è una semplice increspatura, un «paziente merletto» ricamato da mani materne; il pavimento mosaicato della cattedrale di Otranto parla con un linguaggio «di favola, che non si ritrovò mai più». Un Sud che è una esperienza irripetibile, un trasognato viaggio per «toccare il termine dell’Italia» e il punto d’inizio di una vita.