Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Amare delusioni
Iprimi momenti, quando un uomo e una donna non si vedono da qualche anno, sono al limite dell’inconfessabile. Sara. Ci si valuta reciprocamente, senza darlo troppo a vedere. Sara dovrebbe averne compiuti quarantacinque, se non ricordo male.
Abbiamo misurato in una frazione di secondo quanto abbia inciso il rispettivo invecchiamento. Le cicatrici, insomma. Lo sferragliare di un tram a piena corsa ha sovrastato i nostri primi, imbarazzati bofonchiamenti. Si ripete, rifacciamo la scena.
«Saretta! Ti vedo una bellezza!». L’ho esclamato senza calcare troppo sull’enfasi. In realtà questa pandemia, col crac economico susseguente, ha mietuto ancora altre vittime sociali (il capitalismo si nutre di crisi e sputa gli ossi). Oggi Sara veste questi sciatti jeans neri, cascanti ai lati.
Nessuna intenzione seduttiva, mi sembra lampante.
«Anch’io ti trovo bene», lei sulla stessa falsariga complimentosa, «sei dimagrito o mi sbaglio?».
Sbaglia, sbaglia: l’alienazione del lavoro agile mi ha imbolsito, altro che agilità. Ma bando alle tristezze. «Ci accomodiamo?».
Questo ristorante senza grandi pretese, più che altro da pausa-pranzo. Ovviamente possiamo accedervi solo mascherati. Sara si assoggetta al bavaglio con un certo nervosismo, si nota. Contrariamente a me, questi ultimi anni non sono riusciti ad appesantirla. Piuttosto la trovo scarnita in viso, a parte l’ingrigimento dell’incarnato che non si è data la pena di truccare. Sì, decisamente nessun retropensiero seduttivo.
Da conoscenze comuni mi erano giunti gli echi di una sua separazione abbastanza tribolata. Mi verrebbe da dire devastante. A tavola ne saprò di più, per fortuna la climatizzazione mi sembra accettabile.
«Va bene se ci mettiamo lì? Vicino alla vetrata?».
Non che la vista sia un incanto... Un interminabile corso alberato nella Città del Nord. Ressa alle pensiline degli autobus, sovraffollamento sui mezzi. Fra l’altro un temporale di calore sembra in procinto di scaricarsi su di noi. È il clima continentale, in ogni caso ci sediamo. Sara si sbarazza della chirurgica con un sorriso tirato.
Magari paventa delle avance che non ho nessuna intenzione di azzardare. La tintura dei suoi capelli corvini ha un’intensità da inchiostro nero: l’avrà arrangiata in casa.
Me ne accorgo perfino io che ho la sensibilità cromatica di un utensile da cucina.
«Hai saputo, no?», intavola lei l’argomento, «con Mauro è finita da un anno».
Il verde semaforico lancia un’ondata di macchine.
«Per dirti la verità devo ancora riprendermi».
Molto franca, ha questi occhi, occhi feriti. Perché tocca a me questa sua penosa confessione? Forse ho la vocazione del padre spirituale. Sara distoglie lo sguardo verso il passaggio fuori. Il cielo trattiene a stento la pioggia, una calura greve.
«Devo ancora riprendermi. Lui era un gigante per me. Era tutto. È il padre di mia figlia».
Quando riporta gli occhi su di me, ho l’impressione che l’eyeliner sia un po’ sbavato.
Da conoscenti comuni mi era arrivata all’orecchio la voce di una sua scappatella alla base della rottura. L’aggravante: consumata con il miglior amico di Mauro. Ma perché indagare? Ordiniamo, piuttosto, Il menù plastificato non offre molta scelta. Fingo di ponderare, l’espressione cogitabonda mi riesce sempre bene. Lei, intanto, recrimina su Mauro, sul suo comportamento gelido. Sapevo che si sarebbe arrivati al tema sensibile: la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento per Lulù. Del resto, che futuro per una coppia che ha deciso di chiamare così l’unica figlia?
L’omonimo romanzo della Grandes faceva pena.
«La salsiccia di Bra può essere un’idea», io, con un entusiasmo che vorrebbe stemperare la tensione. Il cameriere, annotate le comande sul palmare, si defila.
Perché sono qui, per rinverdire cosa?
«Tu sei vaccinato?».
Ecco la domanda che non mi aspettavo.
«Solo con la prima dose: Astrazeneca». La prevengo: «ho avuto minimi effetti collaterali».
La sua smorfia.
«Un po’ di febbriciattola, dopo un giorno ero a posto».
Adesso Sara ha cambiato proprio assetto delle spalle, del collo. Anche lo sguardo, prima piuttosto sconsolato, si riaccende. Ora sta rivendicando la sua posizione fieramente No vax, si rivolge a me come fossi un infedele da convertire. Alcuni argomenti sono ragionevoli, io non sono un dogmatico. Altri mi sembrano delle petizioni di principio indimostrabili. Sul complottismo andrei decisamente con i piedi di piombo, non è proprio nelle mie corde. Non controbatto: questa donna ha bisogno di sfogarsi. Che strano: oggi che non la desidero più riesco finalmente a umanizzarla per intero. Mi diventano addirittura trasparenti i sottintesi della sua filippica antivaccinale. Dietro questa requisitoria intravedo la sfilza delle sue sconfitte, le ferite che il mondo è riuscito a infliggerle, talvolta con la sua attiva collaborazione. La scuola scelta avventatamente. Le ristrettezze economiche che non l’hanno fatta accedere all’università. Un lavoro poco gradito e, oggi, più che mai in bilico. Un amore naufragato per colpa sua e non sua. Aggiungi l’infatuazione per il Movimento anti-sistema e il cozzo con i duri fatti (gliel’avevo predetto, anni fa: il Sistema non organizza solo il consenso, ma anche il dissenso...). Sara ha comunque una bella bocca; la muove a macchinetta, ma provo lo stesso tenerezza per il suo NO. Un NO a muso duro, prepolitico. Contro le persone che approdano sempre alla posizione corretta. Contro i saputelli a dito alzato. Gli irreprensibili che non cadono mai e, quando talvolta accade, atterrano in piedi e incolumi. Io sono protetto e mi proteggerò con la seconda dose, ho bilanciato i rischi. Tuttavia non posso e non voglio considerare Saretta un’avversaria. Anzi: non proveniamo entrambi da un sangue oscuro? Non dovrei solidarizzare umanamente, al di là dei dissensi ideali? Ecco: tutt’a un tratto vorrei che lei non si sentisse così amara e allo sbando; così sull’orlo della bancarotta esistenziale. Al di là degli errori commessi, delle valutazioni sbagliate, siamo tutti fallibili no? Le ho coperto il palmo della mano. «Vorrei mi parlassi di te, invece». Fuori la luce è diventata fosforescente, lei probabilmente teme di annoiarmi. Vorrebbe parlarmi di Mauro per ore. Va bene, ascolto, mi rendo utile. Fuori sembra proprio che il cielo non riesca più a trattenerlo, questo nubifragio. Il gestore accende i neon interni. Questo genere di illuminazione ci rende tutti più lividi.
Volti, emozioni Occhi feriti. Perché tocca a me questa sua penosa confessione? Forse ho la vocazione del padre spirituale