Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Gabriele Di Luca raccoglie ovazioni per i suoi Miracoli
Imondi distopici – ma mica tanto - a cui ci ha abituato Gabriele Di Luca e la sua Carrozzeria Orfeo si arricchiscono di nuove sfaccettature con Miracoli metropolitani, spettacolo andato in scena nello scorso weekend al Kismet di Bari e salutato da una vera standing ovation da un pubblico per nulla provato – anzi – dai più o meno centoquaranta minuti di durata senza intervallo. Successo assolutamente meritato perché Di Luca dai tempi di Thanks for Vaselina sembra aver affinato sempre più una scrittura che riveste come un guanto caratteri e personaggi che poco per volta si svelano allo spettatore.
Evidente è l’amore che l’autore riserva ad ognuno di essi, anche ai più abbietti, e che per contagio si trasmette al pubblico che ne resta conquistato e ci si affeziona. E d’altronde come non parteggiare per esseri fragili in lotta perenne con la vita, tutti naufraghi disperatamente impegnati a non affogare in mari molto tempestosi. Qualcuno tenta di giocare un’ultima carta, altri si lasciano andare, tutti in qualche modo ci dicono che ogni vita va vissuta conquistandosi ogni minuto azzannandolo con una ironia feroce verso gli altri ma anche verso se stessi.
Miracoli metropolitani è una tragedia in cui si ride molto, fondata su ritmi serratissimi e ipnotici che non permettono di riprendere fiato grazie anche ad una lingua mai così controllata e sapiente. È una storia dei nostri tempi che ha avuto una lunga genesi e che ha tratto ispirazione da un fatto di cronaca del 2017, quando una metropoli come Londra rimase in scacco per problemi al suo sistema fognario, e che è stata messa a punto allo scoppio della pandemia che ha costretto noi tutti a lunghi periodi di isolamento. Per una messa in scena produttivamente complessa e con numerosi interpreti, certo ancora oggi non una tranquilla passeggiata.
Ecco dunque una città sommersa dai liquami per irreversibile intasamento di fogne, in cui un governo succube di gruppi di destra estrema consente l’eccidio di migranti mentre costruisce lager in cui nessuno esce più di casa per paura e per imposizione. Prospera così l’attività di un ex chef stellato e di sua moglie, ex sguattera con il pallino dei social. In una casa -cucina sotterranea che assomma vari tipi di miasmi, non ultimi quelli dei cibi cucinati con ingredienti comprati in Cina, gli affari vanno a gonfie vele grazie anche allo sfruttamento di una donna africana, di un carcerato con velleità artistiche utilizzato in lavori socialmente utili e di un professore universitario libanese, rider di professione. A loro si uniscono il figlio della coppia, disadattato affettivo, la madre dello chef, ex brigatista che sogna ancora azioni eclatanti, e un’aspirante suicida. Insomma, un mondo di ex che si agita in vena di riscatto, schiacciato da un presente in cui stanno prendendo forma incubi inimmaginabili.
Molto compatta la regia dello stesso autore con Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi e fantastico il cast di attori da premio, tutti perfetti a rendere «mostri» che – come rivelato da un giovane spettatore durante l’affollatissimo incontro con la compagnia – sanno anche far piangere e che ci fanno dimenticare per il tempo di una messa in scena ciò che ci circonda. Miracoli teatrali.