Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
QUELLE OMBRE SULL’EX ILVA
Il ministro Adolfo Urso dice che «il treno sta deragliando», e la Corte d’Assise di Taranto spiega il perché: «Una gestione disastrosa». Tutto chiaro? Non tanto. Depositate le motivazioni della sentenza ex Ilva, la nebbia resta fittissima. Perché nel treno che deraglia ci ha messo del suo anche la politica. In 10 anni, dal famoso 2012 in cui partì l’inchiesta “Ambiente Svenduto”, i diversi governi hanno guidato la locomotiva facendola sbandare più volte. E la stazione in cui si sono fermati è un curioso luogo dove la minoranza pagatrice è pubblica e il centro decisionale è privato. Così, se Arcelor Mittal, per fare pressing sul miliardo del Decreto Aiuti tuttora bloccato, espelle le 145 aziende dell’indotto, accade che il governo convochi un vertice in cui l’azienda neppure si presenta.
Le motivazioni della sentenza Ambiente Svenduto, 18 mesi dopo il primo grado, forniscono uno spaccato drammatico su ciò che è accaduto a Taranto. Le iperboli non mancano: Taranto era diventata un «girone dantesco» in cui la famiglia Riva faceva «razzismo ambientale», cioè approfittava del sottosviluppo per ottenere profitti eludendo ogni controllo. «Una gestione disastrosa che ha arrecato un gravissimo pericolo per la salute pubblica… dagli omicidi colposi alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materno». Fra il 1995 e il 2012, l’impianto era un «deposito di esplosivi gestito dai nostri imputati come fochisti». Ma se per i vertici dello stabilimento la durezza delle condanne sembra giustificata, restano fumose le responsabilità politiche. D’accordo, «la capacità di influenzare le istituzioni da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattuale, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamento dei crimini, con costante opera di tacitazione delle voci discordi». Ed è significativo, nelle motivazioni della sentenza, leggere i riconoscimenti ad esponenti della società civile come Alessandro Marescotti e Fabio Matacchiera. Ma dove sono i reati dei Vendola, dei Florido e degli Assennato, al di là di una generica insufficienza dei controlli? Le loro responsabilità appaiono solo politiche, mentre in uno Stato di diritto devono necessariamente essere corredate da prove certe e legate a precise violazioni del codice penale.
C’è da augurarsi che la sentenza di secondo grado centri meglio questi punti. Intanto, il ministro Urso chiarisce: nell’ex Ilva «lo Stato ci ha messo molto denaro e ci metterà altri 2 miliardi, ma abbiamo il dovere di sapere come queste risorse saranno spese per recuperare il declino». In soldoni: chiusura o proprietà pubblica con risanamento trasparente. Il resto è soltanto un nuovo gioco del rinvio e del cerino.