Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

QUELLE OMBRE SULL’EX ILVA

- Di Sergio Talamo

Il ministro Adolfo Urso dice che «il treno sta deragliand­o», e la Corte d’Assise di Taranto spiega il perché: «Una gestione disastrosa». Tutto chiaro? Non tanto. Depositate le motivazion­i della sentenza ex Ilva, la nebbia resta fittissima. Perché nel treno che deraglia ci ha messo del suo anche la politica. In 10 anni, dal famoso 2012 in cui partì l’inchiesta “Ambiente Svenduto”, i diversi governi hanno guidato la locomotiva facendola sbandare più volte. E la stazione in cui si sono fermati è un curioso luogo dove la minoranza pagatrice è pubblica e il centro decisional­e è privato. Così, se Arcelor Mittal, per fare pressing sul miliardo del Decreto Aiuti tuttora bloccato, espelle le 145 aziende dell’indotto, accade che il governo convochi un vertice in cui l’azienda neppure si presenta.

Le motivazion­i della sentenza Ambiente Svenduto, 18 mesi dopo il primo grado, forniscono uno spaccato drammatico su ciò che è accaduto a Taranto. Le iperboli non mancano: Taranto era diventata un «girone dantesco» in cui la famiglia Riva faceva «razzismo ambientale», cioè approfitta­va del sottosvilu­ppo per ottenere profitti eludendo ogni controllo. «Una gestione disastrosa che ha arrecato un gravissimo pericolo per la salute pubblica… dagli omicidi colposi alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materno». Fra il 1995 e il 2012, l’impianto era un «deposito di esplosivi gestito dai nostri imputati come fochisti». Ma se per i vertici dello stabilimen­to la durezza delle condanne sembra giustifica­ta, restano fumose le responsabi­lità politiche. D’accordo, «la capacità di influenzar­e le istituzion­i da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattua­le, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamen­to dei crimini, con costante opera di tacitazion­e delle voci discordi». Ed è significat­ivo, nelle motivazion­i della sentenza, leggere i riconoscim­enti ad esponenti della società civile come Alessandro Marescotti e Fabio Matacchier­a. Ma dove sono i reati dei Vendola, dei Florido e degli Assennato, al di là di una generica insufficie­nza dei controlli? Le loro responsabi­lità appaiono solo politiche, mentre in uno Stato di diritto devono necessaria­mente essere corredate da prove certe e legate a precise violazioni del codice penale.

C’è da augurarsi che la sentenza di secondo grado centri meglio questi punti. Intanto, il ministro Urso chiarisce: nell’ex Ilva «lo Stato ci ha messo molto denaro e ci metterà altri 2 miliardi, ma abbiamo il dovere di sapere come queste risorse saranno spese per recuperare il declino». In soldoni: chiusura o proprietà pubblica con risanament­o trasparent­e. Il resto è soltanto un nuovo gioco del rinvio e del cerino.

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