Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Tutte (o quasi) le interviste di Carmelo Bene
Sono quasi milleottocento le pagine del volume curato da Luca Buoncristiano e Federico Primosig che raccoglie quasi tutte le interviste rilasciate alla stampa da Carmelo Bene in un quarantennio: Si può solo dire nulla (Il Saggiatore, Milano 2022, pp. 1744, euro 65). Frutto di un faticoso lavoro di collazione, il libro suddivide i documenti in quattro capitoli cronologici: «1963-1973 Gli anni di galera – Le cantine e il cinema»; «1973-1982 Il grande teatro – Dal grande attore alla stagione concertistica»; «1983-1993 Il teatro senza spettacolo – La phoné, la macchina attoriale e la Biennale»; «1994-2001 Le suite impossibili – Il ritorno e il classico».
Le introduzioni dei curatori sintetizzano l’immensa vicenda di C.B., anche in relazione al proprio personale approccio. Luca Buoncristiano, romano, classe 1976, ci ricorda di essere entrato in contatto con C.B. nel 1994, a circa diciassette anni, attraverso le apparizioni televisive, prima, e gli ultimi spettacoli teatrali, dopo, col timore reverenziale dei tanti che si arrestavano alle soglie del camerino, senza trovare il coraggio di introdursi. Ironia della sorte, morto Bene, il giovane Buoncristiano fu incaricato dalla fondazione L’Immemoriale di curare l’archiviazione del lascito artistico nella casa romana: «Carmelo Bene viveva in un condominio come un comune mortale, lui che di comune aveva ben poco; teneva anche il nome tra le cassette della posta. L’abitazione romana constava di due appartamenti al piano terra di due palazzine adiacenti uniti da un corridoio (chiaramente abusivo) che attraversava il
giardino… L’abitazione praticamente non aveva luce naturale e la casa, a eccezione della moquette rossa e del soffitto rosso delimitato da una cornice dorata, era immersa nel crepuscolo: pareti nere, librerie nere, sedie nere, bagno nero, tazza inclusa, cucina nera, letto nero». In quella casa sdoppiata, Buoncristiano lavorò per oltre un anno. Gran parte di questo lavoro ha origine lì.
Molte le sorprese, nella rilettura di queste interviste possibili. Nella prima, qui trascritta, rilasciata nel 1963 a Il Messaggero, un giovane Bene preannuncia il proprio percorso, dichiarando inedite paternità: «Io non sono per un teatro di testo, bensì per un teatro di pretesto. Anche il vaniloquio può costituire una realtà poetica. Il pubblico dovrebbe capire che quando va a teatro non c’è da capire nulla. Il teatro non ha bisogno di contenuti, ma di sincerità. Se non sapete che cosa sia la patafisica, non potete pretendere di capirmi, Artaud, Stanislavskij e Kazan sono i miei maestri. Aggiungeteci, se volete anche Beckett».