Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Voti in cambio di soldi, intercettazioni utilizzabili nel processo contro Ferri
Andrà avanti, con tutte le intercettazioni raccolte dagli inquirenti, il processo a carico della ex consigliera comunale di Bari Francesca Ferri, del compagno Filippo Dentamaro e dell’imprenditore, presidente del Foggia Calcio ed ex consigliere regionale Nicola Canonico, accusati di essere i «promotori» di una presunta associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale per le elezioni comunali di Bari e Valenzano del 2019. La decisione è stata presa ieri dal Tribunale di Bari (presidente Antonio Diella), che allo stesso tempo ha però definito inutilizzabili le intercettazioni - sia telefoniche che ambientali nei confronti dei semplici «partecipi» all’associazione, i cosiddetti «portatori di voto». Una vittoria, quindi, per i difensori di questi ultimi, ma un colpo non indifferente per i tre principali imputati, per i quali le intercettazioni rappresentano parte importante delle accuse nei loro confronti.
Ferri e Dentamaro, nello specifico, sono a processo per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale per le elezioni di Bari –
al termine delle quali Ferri fu eletta nelle file del centrodestra con la lista «Di Rella sindaco» - e di scambio elettorale politico-mafioso per quelle di Valenzano, tenutesi nello stesso anno. Canonico è considerato dai pm Michele Ruggiero e Fabio Buquicchio il «garante» di questo sistema. Lo scorso luglio, invece, Ferri e Dentamaro furono prosciolti «perché il fatto non sussiste» dall’accusa di voto di scambio politico-mafioso per le elezioni di Bari e da quella di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale per quelle di Valenzano. Per l’accusa, l’associazione promossa da Ferri, Dentamaro e Canonico avrebbe portato avanti una «attività organizzata di selezione e reclutamento di elettori con successiva acquisizione dei loro voti», in favore della candidata Ferri, in cambio di somme di denaro. Secondo quanto ricostruito dai pm, ogni voto sarebbe costato 25 o 50 euro, promessi o offerti a «un numero imprecisato di elettori». I portatori di voto, invece, avevano un ruolo definito «decisivo» per portare al termine il programma, cioè quello di «individuare, contattare e reclutare il maggior numero possibile di elettori da cui, infine, compravano i voti verso il pagamento» di denaro.
Nell’ambito di questa indagine
diversi imputati, prevalentemente appartenenti al clan Buscemi di Valenzano, hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Per loro i pm hanno chiesto condanne fino a 20 anni di reclusione.