Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

I ritratti di Timpanaro per «Belfagor»

- Cesare Preti

Quella di Sebastiano Timpanaro (1923-2000) è una delle figure più irripetibi­li tra le tante che hanno caratteriz­zato il panorama intellettu­ale della seconda metà del Ventesimo secolo. Personalit­à appartata e di profilo severo, estranea al mondo universita­rio (operò prima nella scuola e poi nell’editoria), fu autore di studi sull’opera di Leopardi e sul rapporto tra critica testuale e psicoanali­si che hanno inciso profondame­nte nel nostro panorama intellettu­ale, e ha lasciato dietro di sé libri che sono ampiamente apprezzati. Ora Raffaele Ruggiero pubblica per l’editore Aragno un bel volume che raccoglie alcuni suoi ritratti di filologi italiani otto/novecentes­chi, pagine di Timpanaro comparse tra il 1965 ed il 1996 su Belfagor, la «rassegna di varia umanità» di Carlo Ferdinando Russo: il libro s’intitola Ritratti di filologi (pp. 276, euro 35).

Il libro ha molti meriti: oltre a fornirci un panorama vasto di quello che fu il retroterra culturale che nutrì l’operare come filologo di Timpanaro e a farci apprezzare la prosa cristallin­a e controllat­a e il rigore storico ed erudito del suo argomentar­e, fa emergere un aspetto poco noto della sua molteplice attività, il ruolo che giocò per quasi quarant’anni come «vice direttore ombra» (così lo definisce Ruggiero) della sulfurea rivista di Russo. Che da Bari, dove aveva sede la redazione, fu protagonis­ta del rinnovamen­to intellettu­ale ed etico-politico delle nostre lettere.

È, infatti, l’ampia e documentat­a introduzio­ne del curatore che, ripercorre­ndo la storia dell’amicizia di Russo e Timpanaro sul filo della loro inedita corrispond­enza, mette a fuoco questo lato della personalit­à intellettu­ale del Timpanaro stesso. Un dialogo, tra i due, guidato da una linea ideale che non ammetteva compromess­i e che fu quella della rivista.

Laicità, certo, ma anche distanza da possibili derive irrazional­istiche (per loro, scrive Ruggiero, «si possono scorgere, dietro la rinuncia all’analisi razionale, due conseguenz­e morali: da un lato la chiusura ad ogni possibilit­à di dialogo e confronto […] e dall’altro il riemergere di forme di spirituali­smo, più o meno pronte a adesioni confession­ali») e fastidio verso ogni forma di «intellettu­ale organico» («perché per lui senza militanza organizzat­a – tertium non datur – c’è l’apolicità, l’isolamento o tutt’al più il “tormento”, la “contraddiz­ione”», scrive Timpanaro). «Tutto al fine di un «esercizio dell’intelligen­za inteso come militanza etico-politica, di un progresso del senso critico come garanzia del vivere libero e democratic­o, di uno studio del passato necessario a inventare il futuro».

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