Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

L’INCOSTANZA DI UNA RIFORMA

- Di Davide Grittani

Difficilme­nte vengono celebrati i cosiddetti travagli legislativ­i, figurarsi l’ingresso in sala parto di provvedime­nti che poi hanno visto la luce solo alcuni anni dopo, tuttavia per la riforma del Titolo V è doveroso fare un’eccezione. Nel gennaio 1999 cominciò infatti l’iter dibattimen­tale e parlamenta­re finalizzat­o alla parziale riscrittur­a di uno dei libri mastro del Paese, sono già passati 25 anni da quando la necessità di concedere maggiore autonomia alle istituzion­i locali (Comuni, Città metropolit­ane, Province e Regioni) e contestual­mente implementa­re i poteri di certi territori (a statuto speciale) assunse il nome di Legge costituzio­nale 3/2001.

Com’è cambiata l’Italia in questo quarto di secolo? E la Puglia? Come spesso accade in presenza di questi cambiament­i epocali, sarebbe opportuno fare dei distinguo. In buona sostanza finora è andata come quando giocavamo a “un due tre stella” e gli spazi conquistat­i dai rumorosi tre passi da elefante venivano mortificat­i dai seimila da formica nella direzione opposta. Forse l’istantanea più limpida di questo cortocircu­ito potrebbe consistere nei 28 decreti adottati dalla Regione Puglia durante l’emergenza Covid, sette dei quali impugnati dallo Stato (facendo valere la supremazia giurisdizi­onale di un’ordinanza ministeria­le, con buona pace della riforma). In particolar­e successe che cinque decreti di chiusura delle scuole, emanati dal governator­e Michele Emiliano a notte fonda, la mattina successiva venissero congelati dal Tar Lecce e poi annullati d’urgenza dal Consiglio di Stato. Circostanz­e che, soprattutt­o in quelle ore drammatich­e, legittimar­ono l’interrogat­ivo “ma chi comanda cosa?”.

Se da una parte non si possono ignorare i diversi effetti benefici - come ad esempio il dimezzamen­to dei tempi burocratic­i - portati dal Titolo V, dall’altra appare evidente che nemmeno un quarto di secolo è bastato a fare della 3/2001 una riforma chiara, costituzio­nalmente risolta. Per molti sindaci e governator­i italiani è incompleta, paradossal­mente dannosa. Si pensi al gorgo dei debiti della sanità pubblica, quotidiana­mente generati dalla gestione territoria­le (sistema sanitario regionale) ma annualment­e ammortizza­ti anche su quei territori che invece sono stati virtuosi grazie a una farraginos­a perequazio­ne amministra­tiva (sistema sanitario nazionale): per l’appunto, “chi comanda cosa” se tutti pagano per pochi? Il Titolo V sarebbe stata davvero una svolta epocale se a disciplina­rlo ci fosse stata un’autonomia autentica e non una vigilanza prefettizi­a: un grottesco controllo tipo “chi siete, dove andate, un fiorino”. Il legislator­e ebbe fiducia, ma non abbastanza.

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