Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’INCOSTANZA DI UNA RIFORMA
Difficilmente vengono celebrati i cosiddetti travagli legislativi, figurarsi l’ingresso in sala parto di provvedimenti che poi hanno visto la luce solo alcuni anni dopo, tuttavia per la riforma del Titolo V è doveroso fare un’eccezione. Nel gennaio 1999 cominciò infatti l’iter dibattimentale e parlamentare finalizzato alla parziale riscrittura di uno dei libri mastro del Paese, sono già passati 25 anni da quando la necessità di concedere maggiore autonomia alle istituzioni locali (Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni) e contestualmente implementare i poteri di certi territori (a statuto speciale) assunse il nome di Legge costituzionale 3/2001.
Com’è cambiata l’Italia in questo quarto di secolo? E la Puglia? Come spesso accade in presenza di questi cambiamenti epocali, sarebbe opportuno fare dei distinguo. In buona sostanza finora è andata come quando giocavamo a “un due tre stella” e gli spazi conquistati dai rumorosi tre passi da elefante venivano mortificati dai seimila da formica nella direzione opposta. Forse l’istantanea più limpida di questo cortocircuito potrebbe consistere nei 28 decreti adottati dalla Regione Puglia durante l’emergenza Covid, sette dei quali impugnati dallo Stato (facendo valere la supremazia giurisdizionale di un’ordinanza ministeriale, con buona pace della riforma). In particolare successe che cinque decreti di chiusura delle scuole, emanati dal governatore Michele Emiliano a notte fonda, la mattina successiva venissero congelati dal Tar Lecce e poi annullati d’urgenza dal Consiglio di Stato. Circostanze che, soprattutto in quelle ore drammatiche, legittimarono l’interrogativo “ma chi comanda cosa?”.
Se da una parte non si possono ignorare i diversi effetti benefici - come ad esempio il dimezzamento dei tempi burocratici - portati dal Titolo V, dall’altra appare evidente che nemmeno un quarto di secolo è bastato a fare della 3/2001 una riforma chiara, costituzionalmente risolta. Per molti sindaci e governatori italiani è incompleta, paradossalmente dannosa. Si pensi al gorgo dei debiti della sanità pubblica, quotidianamente generati dalla gestione territoriale (sistema sanitario regionale) ma annualmente ammortizzati anche su quei territori che invece sono stati virtuosi grazie a una farraginosa perequazione amministrativa (sistema sanitario nazionale): per l’appunto, “chi comanda cosa” se tutti pagano per pochi? Il Titolo V sarebbe stata davvero una svolta epocale se a disciplinarlo ci fosse stata un’autonomia autentica e non una vigilanza prefettizia: un grottesco controllo tipo “chi siete, dove andate, un fiorino”. Il legislatore ebbe fiducia, ma non abbastanza.