Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La città delle piante, una piccola utopia bio-urbanistica
Stefano Mancuso, botanico di fama mondiale, insegna arboricoltura generale e etologia vegetale all’Università di Firenze, dove dirige un laboratorio internazionale in cui si incrociano filosofia, statistica, neurologia e informatica. Per questo, il suo pensiero non è rimasto confinato nella specificità dei suoi studi ma continua a ispirare ambiti culturali disparati, non da ultimo anche l’arte contemporanea votata al post antropocene.
Tra le intuizioni di Mancuso, c’è la dimostrazione che i vegetali comunicano tra loro attraverso un linguaggio chimico e che per una comune sopravvivenza tra natura e umanità è necessario porre fine a modelli finora dominanti, partendo proprio dagli alberi, straordinari modelli di resistenza. Temi che fanno da sfondo alla sua ultima pubblicazione Fitopolis, la città vivente, pubblicato da Laterza (pp. 166, euro 18), dove lo studioso affronta la rivoluzione degli ultimi decenni che ha segnato il passaggio da una specie umana vissuta nelle foreste a quella concentrata nei centri urbani. Se, allora, nel passato l’umanità è stata generalista, vale a dire si è evoluta sviluppando capacità adattive in rapporto alle varietà di risorse disponibili, ora rischia lo specialismo, in un cambio di rotta radicale, pari solo alla trasformazione degli esseri umani da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori.
In quest’ottica le città non aiutano, sono scarsamente compatibili con la vita organica e malleabili ai cambiamenti climatici e ambientali, dunque, non sono stabili, si modificano, inficiando la sopravvivenza delle specie «specialiste», come l’umana. Per Mancuso, assecondando il pensiero dell’urbanista spagnolo José Luis Sert, la svolta va nella direzione di una biologia urbana, di una «fitopolis» : una città delle piante, sovrabbondante di vegetazione e per questo in grado di favorire effetti di ombreggiamento in contrasto al riscaldamento globale, di abbassamento della temperatura dei suoli e diminuzione di CO2.
Allo spessore scientifico delle sue argomentazioni si aggiunge il fascino di una trattazione che tiene insieme più saperi e prende avvio dalla concezione antropocentrica rinascimentale orientata a stigmatizzare la figura umana come fulcro e misura delle cose. Procede incastrando gustose digressioni, vedi il caso del pittore Lucien Freud, grande ritrattista di figure umane in esistenziale disfacimento, ma con un’ignorata produzione di soggetti vegetali che non ha mai destato interesse. Per Mancuso è un’ulteriore conferma della colpevole e ostinata indifferenza della cultura occidentale per le specie vegetali.