Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«La ragazza eterna» dialoghi svelti e racconto avvincente
Nella migliore tradizione romanza, l’amore vero comincia dove quello mondano finisce: con la visione della morte dell’amata, fisica o simbolica. Su questo piano, insospettabilmente spirituale, Andrea Piva pare collocare il nuovo romanzo, La ragazza eterna (Bompiani, Milano 2024, pp. 380, euro 19), a dispetto dell’abito da commedia grottesca e dei risvolti da satira sociale, con viraggio noir, che non si nega smargiassate, eccessi, crimine, sesso mercenario e droga. Tanta droga. Una relazione amorosa che s’impenna quando la storia sembra finita, un passo a due su intensi sottotemi e chiaroscuri: il lavoro del lutto, l’uso terapeutico degli psichedelici, gli abissi della Rete, il crack di una banca e la Bari odierna, specchio di vizi, tanti, e virtù, poche, della nazione. Boccia, psichiatra barese, ultraquarantenne, narratore, nonché, scopriremo, «autore» di ciò che leggiamo, va al matrimonio della sua ex, Renata, più giovane di lui, bellissima, ribelle, colta: ex laureanda della Normale ed ex modella. Un po’ docta puella, un po’ femme fatale. Ma la morte sceglie lei. Ben presto, infatti, Renata si ripresenta alla porta di Boccia, a Bari, e gli si pianta in casa, confessando di aver ricevuto una diagnosi senza scampo. Sarà l’amore, sarà il giuramento di Ippocrate, Boccia si mette in testa, supportato da un amico e collega più disinvolto, di sottoporre Renata a un trattamento psichedelico per affrontare la fine, ombra di un lutto irrisolto del protagonista. Non sarà facile, e intanto, in una Bari d’oggi, altolocata e corrotta, si sviluppa una girandola di vicende incrociate, tragicomiche, che Piva snocciola con sceneggiatura accorta, dialoghi svelti e una lingua meno elaborata, meno propensa ai funambolismi, dei libri precedenti, mimeticamente più acconcia forse alla prosa media del narratore, barese, borghese, mediamente acculturato. Una narrazione di impianto realistico, avvincente, che non cela l’ambizione di affermare Piva, accanto ai Lagioia, Desiati e Lattanzi, quale penna pugliese di ampio consenso e, perché no, di classifica.