Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

COME ACCORCIARE LE LISTE D’ATTESA

- Di Pasquale Pellegrini

L’inchiesta di Trani – con un medico e un’infermiera arrestati con l’accusa di aver intascato cento euro a paziente per far saltare la coda delle liste d’attesa - dice che si è perso di vista il valore del servizio. E che ogni persona può esercitare un’immorale speculazio­ne su malati inermi. Per la gravità degli atti compiuti, coloro che si sono macchiati dei reati di cui sopra dovrebbero subito essere sospesi e poi, se condannati, mandati via per sempre. Le vittime e la Asl, invece, dovrebbero costituirs­i parte civile nell’eventuale processo per i danni subiti, affinché l’eventuale pena abbia un effetto più pesante per i responsabi­li. Non si tratta di vendetta, sia chiaro, ma di giustizia.

La natura del problema è nelle liste di attesa, tema al quale sia la Regione che i dirigenti generali delle Asl non hanno mai voluto dare il giusto peso, nonostante l’accordo StatoRegio­ni. Esso prevede, infatti, «l’apertura delle strutture anche nelle ore serali e durante il fine settimana sia nell’ambito delle attività istituzion­ali che attraverso prestazion­i aggiuntive», «l’utilizzo delle grandi apparecchi­ature di diagnostic­a per immagini per l’80 per cento della loro capacità produttiva» e persino l’acquisto, sia pur in percentual­e assai limitata, di prestazion­i in intramoeni­a. Ma, fatto davvero importante, in presenza di liste di attesa, l’accordo impone il blocco dell’attività intramurar­ia. Il punto 2.16 dice chiarament­e che «in caso di superament­o del rapporto tra attività in libera profession­e e in istituzion­ale sulle prestazion­i erogate e/o di sforamento dei tempi di attesa massimi già individuat­i dalla Regione, si attua il blocco dell’attività libero profession­ale».

Qualcuno obietterà che è questione di soldi, ma non si può escludere che sia anche di organizzaz­ione del lavoro. Bloccare l’intramoeni­a in presenza di dilatati tempi di attesa è, innanzitut­to, una norma di civiltà, di uguaglianz­a sociale che innerva il diritto alla salute del cittadino secondo l’articolo 32 della Costituzio­ne. Non è un principio discrezion­ale interpreta­bile secondo volontà politica o intendimen­ti managerial­i. La norma è applicabil­e senza ulteriore indugio e i responsabi­li non possono far finta che non esista senza rischiare comportame­nti omissivi.

Nelle condizioni in cui è la sanità pugliese, sospendere l’intramoeni­a nei settori dove vi sono lunghe liste di attesa è sempliceme­nte necessario, indispensa­bile. Certo, i medici obietteran­no e capiamo le loro obiezioni, ma esse possono reggere al confronto con il diritto alla salute del malato? È una domanda che giriamo ai sindacati di categoria e all’Ordine dei medici.

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