Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Ambiente, rifiuti pericolosi e il caso di tre morti sospette
C’era stato temporale durante la notte. Una brutta notte, dilatata dal soffiare del vento. Poi era arrivato il sonno, quello prima dell’alba, profondo ma breve. Il luogotenente Gaetano Ravidà si svegliò all’improvviso, aprì gli occhi e intravide sul pavimento del corridoio un rettangolo di luce dorata. Lasciava ben sperare, sarebbe stata una giornata soleggiata.
Aveva una gran voglia di continuare a dormire e così indugiò disteso, in una resistenza di pensieri quasi sempre scivolosi a quell’ora del mattino: un matrimonio fallito, la mancanza delle figlie. Per non continuare a girarsi e rigirarsi, instancabilmente, intorno al proprio dolore, decise di alzarsi. Per prima cosa si guardò allo specchio. La sua vita adesso era tutta lì e lo fissava dall’altra parte, obbligandolo a osservarsi con attenzione. I ricci sulla testa, indisciplinati e striati di bianco, gli parvero la metafora della sua esistenza sbrigliata, cui la divisa di carabiniere assegnava un rigore di facciata.
Sciacquò bene i denti, ripose lo spazzolino al solito posto e bevve un paio di sorsi dal rubinetto. Era così fresca l’acqua di montagna, un’ebbrezza per i suoi sensi ancora sopiti. La immaginò come neve soffice che si scioglie e prende altre forme e strade, fino alle case. In vacanza, da bambino, formava una conchetta con i palmi delle mani e la immergeva nei ruscelli. Era l’acqua più buona del mondo, con quel retrogusto di muschio e di vette dove, ne era certo, nessun uomo o animale si sarebbe spinto per sporcarla.
Nostalgia di quei giorni felici, della loro gioiosa spensieratezza! Ora comandava la stazione dei carabinieri di Asiago e da qualche tempo si stava occupando di questioni ambientali, ma di tutt’altro tenore. Un paio di vecchie cave di marmo erano state utilizzate come deposito di rifiuti pericolosi e l’assottigliamento eccessivo delle pareti della roccia aveva provocato infiltrazioni nel bacino acquifero sottostante, che riforniva l’intero altopiano.
Le indagini erano partite a seguito di una denuncia anonima e una decina di persone erano state arrestate per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Perlustrando quelle pareti di roccia, in un cunicolo, Ravidà e i suoi uomini avevano trovato il cadavere mummificato di un uomo, ancora senza identità. (…)
L’operazione Terra di nessuno aveva riportato la questione ambientale dell’altopiano al centro del dibattito politico, con echi nella cronaca nazionale. La mala del Brenta si era ripresa le prime pagine, come ai tempi di Felice Maniero.
Le indagini continuavano in altre cave dismesse, utilizzate illegalmente come discariche, e poi c’era quel cadavere mummificato che lo vedeva molto impegnato, con il brigadiere Casarotto e il maresciallo Strazzabosco, in una sorta di caccia all’uomo. Morto.
Il ritrovamento Perlustrando quelle pareti di roccia, Ravidà e i suoi uomini avevano trovato un cadavere mummificato