Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Petruzzelli, il Fidelio Storia e suggestioni
Il lavoro di Beethoven inaugura venerdì sera la stagione d’opera dell’ente lirico Un richiamo del regista spagnolo Joan Anton Rechi alla dittatura franchista
C’è un richiamo alla dittatura fascista di Francisco Franco nel Fidelio di Beethoven firmato da Joan Anton Rechi che venerdì (ore 20.30) inaugura al Petruzzelli la stagione d’opera dell’ente lirico. «Ma non si tratta di una riflessione storica su quegli anni, quanto di una semplice suggestione, un punto di partenza che mi ha permesso di immaginare l’intero spettacolo», spiega il regista spagnolo, che a Bari, dove sul podio dell’Orchestra del Teatro ci sarà il direttore stabile Stefano Montanari, riprende un allestimento realizzato nel 2021 per la Fenice di Venezia.
La suggestione sono i prigionieri politici repubblicani che furono costretti dal regime del caudillo a costruire il sacrario della Valle de los Caídos, nella Sierra de Guadarrama. «Non criminali, ma gente che aveva lottato dalla parte degli sconfitti e che con la costruzione di quel monastero scontava la propria pena», racconta Rechi che, in quanto spagnolo, ha visto una fortissima similitudine con i vinti (ma poi vincitori) del Fidelio: i prigionieri delle galere di Siviglia dove il perfido Pizarro ha ingiustamente rinchiuso Florestano, salvato dall’amata Leonora nei panni di Fidelio. E così come i prigionieri del franchismo costruirono la Valle de los Caídos, Rechi ha immaginato i reclusi delle galere sivigliane nell’opera di Beethoven costretti a fabbricare una statua gigantesca, rappresentata da una grande testa scolpita al centro della scena, riferimento al sovrano cui fa accenno nel finale il liberatore don Fernando.
Unica opera di Beethoven, esaltazione delle forze delle bene, della libertà e della ragione, Fidelio rappresenta un esempio sublime di rielaborazione in musica della pièce à sauvetage «Léonore» di JeanNicolas Boully del 1798. Ma la stesura fu lunga e tormentata. Del Fidelio, singspiel composto da un insieme di numeri musicali chiusi e intervallati da parti recitate, esistono tre versioni: una prima del 1805 con il libretto di Joseph Sonnleithner, una seconda del 1806 con il testo revisionato da Stephan von Breuning e una definita del 1814 con il libretto praticamente riscritto da Georg Friedrich Treitschke. Per l’ultima rielaborazione Beethoven compose una quarta ouverture, «Fidelio», che andò a sostituire i tre brani precedentemente creati e tutti e tre intitolati Leonora. Ed è diffusa l’abitudine, introdotta da Gustav Mahler, di eseguire il brano «Fidelio» come ouverture dell’opera e la «Leonora n. 3» prima del finale del secondo atto.
Tra l’altro, la versione del 1814 presenta una maggiore tensione drammatica rispetto a quella originaria. Punto nodale, l’entrata in scena di Pizarro, che trasforma Fidelio, opera ricca di spunti comici nel primo atto, da commedia borghese in tragedia. «Pizarro, un personaggio privo di ogni scrupolo, tutto proteso verso il suo personale potere e i propri interessi, ricorda figure nelle quali ci siamo spesso imbattuti in tanti luoghi diversi», dice Rechi, che nell’ideazione dello spettacolo ha voluto aggiungere un ulteriore elemento: quello mitologico, suggerito proprio dalla statua in costruzione, un chiaro riferimento alle grandi opere scultoree del passato. «D’altronde - spiega il regista - l’opera di Beethoven richiama da vicino il mito di Orfeo, finito nell’aldilà per riscattare Euridice. Leonore, scesa nell’inferno delle segrete per trarre in salvo il proprio amato, ricorda pertanto il mitico cantore, restituendoci l’immagine di una donna coraggiosa intorno alla quale intrigo politico e intimismo si fondono magnificamente».