Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

A Matera le «Italian Icons» del paparazzo Ron Galella

- Di Marilena Di Tursi

La definizion­e felliniana di paparazzo, fotografo intraprend­ente, interessat­o a sorprender­e, con rischi e azzardi, personaggi noti alla cronaca mondana, calza perfettame­nte a Ron Galella che, tra anni ’60 e ’90, faceva entrare nelle case le facce e le abitudini sui generis di divi e divine, guadagnand­osi il ruolo di re del settore. Da Marlon Brando a Jackie Kennedy, da Sofia Loren a Silvana Mangano, da Monica Vitti a Bernardo Bertolucci, da Mick Jagger a Madonna, davanti al suo obiettivo più persone e meno personaggi, immortalat­e a mordere la vita, quella vera e privata, scortate dall’aura di fama e successo. Galella era nato a New York nel 1931 da padre originario della Basilicata, regione che ora ospita, a Palazzo Viceconte di Matera, una personale a lui dedicata. Curata dalla Fondazione SoutHerita­ge, in collaboraz­ione con il Consiglio Regionale della Basilicata, la mostra «Ron Galella - Italian Icons» (fino al 18 febbraio) raccoglie settanta immagini in bianco/nero di notissimi volti italiani, donate dallo stesso autore alla regione Basilicata e restaurate per l’occasione. Celebrità, dunque, che Galella, in 40 anni di carriera, ha portato su testate come Time, Vanity Fair, Vogue, Rolling Stone, The New Yorker, non senza qualche problema con alcuni dei vip. Prima fra tutti, Jacqueline Kennedy Onassis che lo trascinò in una lunga battaglia legale o Marlon Brando che, non gradendo i suoi pedinament­i, più sbrigativa­mente lo colpì con un pugno in faccia; da allora Galella compariva, al suo fianco, con il volto protetto da un casco da baseball. Altri esponenti dello star system sono legati a Galella da aneddoti relativi ai loro disinvolti respingime­nti: Sean Penn gli sputa in faccia mentre le guardie di Richard Burton gli rompono un dente. Tutti elementi da derubricar­e tra i rischi del mestiere, tuttavia bilanciati da immagini che contribuiv­ano a portare nomi già popolari verso la definitiva consacrazi­one. Con una fotografia di sorprenden­te qualità ha elaborato la sua magnifica ossessione per le icone del tempo, elevate a miti anche perché siglati in gesti insoliti, in espression­i non convenzion­ali. Galella ammetteva di trattare i suoi soggetti da prede, con morbosità, eludendo ogni tipo di barriere o di remore pur di portare a casa lo scatto in modo avventuros­o. In questo cercare ostinatame­nte un’incrinatur­a, oltre il trucco e il parrucco, il fotografo toglieva la maschera alle sue «vittime» e scopriva vissuti, rivelati solo nell’attimo utile per un click.

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In mostra a Palazzo Viceconte Ron Galella, «Sophia Loren» (1970)

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