Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Con «Bossolo» torna la coppia Palumbo-Onnis

Uno regista e autore, l’altro interprete nei panni di un boss mafioso che monologa su tutto

- Nicola Signorile

Al cuore della mentalità mafiosa. Atteggiame­nti, regole di vita, codici di linguaggio che non appartengo­no solo a chi sceglie la via dell’illegalità, ma che fanno parte anche del bagaglio di molti meridional­i. «Dall’esperienza diretta di venticinqu­e anni vissuti in uno dei quartieri più popolari di Bari è nata la voglia di analizzare e comunicare il mio punto di vista riguardo l’essenza della filosofia mafiosa», spiega l’attore e regista Antonio Palumbo, autore di Bossolo, un monologo prodotto dalla compagnia Tiberio Fiorilli di cui è protagonis­ta Totò Onnis, al debutto stasera alle 20.30 al Teatro Kennedy di Fasano per la stagione teatrale della città, realizzata in collaboraz­ione con il Teatro Pubblico Pugliese.

In realtà Palumbo e Onnis, già insieme come regista e attore protagonis­ta del docufilm Varichina - La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis, riprendono un testo scritto e messo in scena nel 2004, incentrato su un giovane boss della malavita barese: «Lo scrissi di getto quando stavo a Roma, avevo un coinquilin­o catanese esperto di mafia, mi fece leggere tanti libri sul tema – racconta Palumbo – ma avevo già una curiosità per quegli atteggiame­nti della gente del

Sud, quell’essere minacciosi senza minacciare, quei codici di sopravvive­nza che sviluppiam­o nel tempo. Totò - continua lo avevo conosciuto su un set di

Nico Cirasola, accettò di farlo perché gli era piaciuto molto il testo. Di lì è nata un’amicizia culminata nell’esperienza di Varichina. Oggi siamo tornati entrambi stabilment­e a vivere a Bari, è il momento di riprendere questo testo divertente e drammatico al tempo stesso». Con i dovuti aggiorname­nti. Oggi il boss è un uomo di mezza età che si trova a confrontar­si, forse per la prima volta con se stesso. Di fronte al pubblico come davanti a uno specchio mentre, da fuori, sentiamo delle sirene. «Lui, sicuro di sé, pontifica sulla religione, sull’educazione dei figli, persino sul ragù. Però c’è un colpo di scena finale che cambia un po’ le carte in tavola».

Onnis è anche la madre del boss: intenta a mescolare il ragù nella cucina di casa sua, una domenica del 1964, che, all’inizio dello spettacolo, tenta di svegliare il figlio ancora a letto nella propria stanza: «da lei scopriamo il background del protagonis­ta, storie di famiglia non così diverse dalle nostre». Con un salto temporale, scandito dalle notizie della sua escalation criminale, lo ritroviamo nel suo studio, oggi; c’è un morto nella stanza e il boss dietro la scrivania, «simile a molti boss che ho visto nella mia vita, molto diversi dai criminali in giacca e cravatta di cui sentiamo parlare adesso; quelli erano personaggi buffi, ignoranti, sempre sopra le righe, ma capaci di esplodere con violenza se non facevi quello che volevano. Una malavita diversa da quella delle altre regioni che prima de LaCapagira non era mai stata rappresent­ata».

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Varichina Antonio Palumbo ha già lavorato con Onnis nel docufilm

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