Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
NON DISTURBARE IL MANOVRATORE
Anziché sentirsi sollevato dalla mancata apertura di un’inchiesta da parte della magistratura, il direttore generale dell’Asl di Lecce – Stefano Rossi – ha chiesto un lauto indennizzo al Corriere per il presunto disagio psicologico arrecato a una sua dipendente – la dottoressa Rossana Indiveri – dalla pubblicazione di un articolo. Il pezzo in questione rivelava come Rossi avesse assegnato a Indiveri il compito di governare il nuovo Ufficio gare territoriali della stessa Asl. Una sorta di promozione, giustificata nella valutazione del manager dalla «notevole esperienza» della neo prescelta. Piccola nota a margine, la dottoressa Indiveri è la moglie del direttore generale Rossi. La vicenda – raccontata attraverso il documento che certificava la nomina – detonò come una granata nel mondo della sanità pugliese. Ed ebbe un seguito immediato. Già il giorno successivo, l’8 febbraio del 2023, la dottoressa Indiveri abbandonò l’incarico, la questione approdò sul tavolo dell’Anac (Autorità nazionale anti corruzione) e l’assessore Rocco Palese annunciò che il nodo dell’incompatibilità si era sciolto con la rinuncia. Atto che risparmiò alla Regione un’indagine interna. Eppure Rossi e la moglie, a distanza di quasi un anno, faticano a farsene una ragione. Piuttosto che preoccuparsi delle scoraggianti condizioni in cui lavorano medici, infermieri e personale ausiliario del Pronto soccorso dell’ospedale Vito Fazzi, oppure tentare in qualche modo di alleggerire i drammatici tempi d’attesa che i cittadini salentini devono sopportare per sottoporsi a un esame o a una visita - roba da meritare una class action, altro che richieste di lauto indennizzo – il dg continua probabilmente a credere che un’azienda pubblica possa essere gestita come una famiglia, immaginando che ogni decisione debba restare confinata fra le quattro mura di casa. Come non pensarci prima: il problema non è stata la firma apposta su un’opzione dall’opportunità discutibile ma che il Corriere se ne se sia interessato.
Non è colpa di Rossi, beninteso. In Puglia, anticipando i tempi in cui si potrà abusare d’ufficio più diffusamente senza inciampare nella corda delle Procure, chi dirige una Asl o riveste una qualsiasi mansione pubblica ben retribuita si sente in diritto di fare ciò che gli pare, nei limiti consentiti dalla legge, senza dover dare spiegazioni. Caso di scuola rimane quello di Francesco Cupertino.
Adifferenza del collega di Unisalento, Fabio Pollice, che è transitato dal senato accademico per imbarcare un indicativo «no», il rettore del Politecnico di Bari si è visto approvare dal cda la misura con la quale la sua indennità annuale veniva moltiplicata del 480%, toccando i 121 mila euro da sommare al regolare stipendio. Una decisione legittima, tuttavia passata sotto silenzio. Nonostante il pressing del Corriere, Cupertino non ha mai voluto commentare le ragioni di quel vertiginoso aumento che ha scatenato la reazione stizzita della Cgil e, diversamente da quanto accaduto con il “maltrattato” Pollice a Lecce, accentuato pure il mutismo di una città come Bari che del consociativismo complice è sempre stata maestra.
Non è nemmeno colpa di Cupertino, quindi, nonostante si parli di soldi “nostri” che zampillano da fontane sempre più torrentizie. Perché ormai, quando si finisce sulle pagine di giornali per notizie non somministrate dai propri addetti stampa, la parola d’ordine è tacere. Anche a costo di negare l’evidenza, se non di innescare una girandola di voci controproducenti per chi se ne sta tatticamente zitto. Esempio di oblio che scatena l’effetto contrario è quello di Francesco Zaccaria, sindaco di Fasano. Il giallo della morte di Patrizia Nettis, l’addetta stampa del Comune trovata impiccata in casa il 29 giugno scorso, è diventato patrimonio involontario delle cronache nazionali. C’è un’inchiesta in corso per istigazione al suicidio, c’è una chat in cui un imprenditore (indagato) e un politico del posto (non indagato) sputano contro la giornalista frasi di un sessismo ripugnante, c’è l’avvocato della famiglia che ha chiesto l’avocazione del pm perché ritiene che l’attività investigativa sia ferma, e c’è mezzo Consiglio comunale che spinge sul primo cittadino – senza ricevere risposta - affinché vengano smontate le coperture sul nome del politico coinvolto. Le ragioni di questa chiusura preventiva, che alimenta un chiacchiericcio fuori controllo, le conosce solo Zaccaria. Al quale in tanti ricordano che siamo a quattro mesi e mezzo dal G7. E che arrivarci con uno scandalo addosso non sarebbe il migliore dei biglietti da visita.