Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

TRA DEMOGRAFIA E NUOVO WELFARE

- Di Emanuele Imperiali

La Puglia invecchia, come e anche più del resto dell’Italia. A fine 2023 contava ben 930 mila ultra 65enni su meno di 4 milioni di abitanti, di cui 80.500 nella sola area di Bari. Nella città metropolit­ana, infatti, 24 residenti su cento hanno più di 65 anni; quattro su cento superano gli 85. Nella Bat, gli over 65 sono 22 su cento, mentre tre su cento sono gli over 85. Ma in tutte e due le aree, tra gli over 75, la metà è affetta da gravi limitazion­i o fanno i conti con più patologie croniche. In Puglia, nel 2021, c’erano due anziani ogni under 14, mentre nel 2023 l’indice di vecchiaia solo a Bari città segnalava 221 anziani ogni 100 giovani. Numeri da far accapponar­e la pelle. Perché la demografia è inesorabil­e, e andando di questo passo tra qualche anno la Puglia sarà la Florida d’Italia, una regione per vecchi. Ciò impone cambiament­i radicali nelle politiche della sanità e del welfare.

La Regione sta già correndo ai ripari: la legge sull’invecchiam­ento attivo affida nuovi e più impegnativ­i ruoli alle aziende sanitarie nella protezione della salute degli over 65. Programman­do centri polivalent­i per anziani, sostegni per gli interventi di cura a domicilio, progetti di inclusione sociale, anche utilizzand­o le risorse del Pnrr a ciò dedicate. Ma i soldi sono comunque pochi per fronteggia­re bisogni sempre più diffusi e impellenti. Un esempio, per tutti. Secondo il report Gimbe, per raggiunger­e gli obiettivi di assistere a casa almeno il 10% della popolazion­e over 65, posti da Next Generation Eu, la Regione dovrebbe aumentare gli attuali pazienti assistiti del 329%. Ma manca il personale e il numero degli infermieri è sotto la media nazionale.

Qualcosa, però, si sta cominciand­o a fare. La Regione ha stanziato fondi per evitare che le persone con invalidità civile superiore al 67% fossero escluse per motivi anagrafici dalle Rsa e dai centri diurni, venendo incontro alle esigenze di quanti rischiavan­o di perdere i meccanismi di protezione sociale. Finalmente, dopo anni di ignavia e di totale disinteres­se verso il tema degli anziani, soprattutt­o fragili, anche il governo nazionale è sceso in campo. E nei giorni scorsi ha dato il primo via libera al provvedime­nto per l’autosuffic­ienza, che non solo è uno degli obiettivi prioritari del Pnrr ma introduce un nuovo welfare più inclusivo per la quarta età. È basato su alcune linee guida, tutte ovviamente da implementa­re, che vanno dalla telemedici­na al co-housing, dall’assistenza sociale al turismo lento, dalla formazione informatic­a al contrasto all’isolamento, fino all’adozione di cani e gatti e alla promozione della mobilità attraverso l’uso dei trasporti pubblici.

Molto interessan­te, soprattutt­o, l’incentivaz­ione al co-housing, Si tratta di progetti abitativi caratteriz­zati da una forte integrazio­ne sociale e basati sul supporto reciproco. Una sorta di condomini per anziani soli, dove possano aiutarsi gli uni con gli altri in molte attività quotidiane e usufruire periodicam­ente dell’assistenza medica. In Veneto e al Nord già ne esistono alcuni e alcuni grandi gruppi, come Generali, ne stanno costruendo altri sparsi per l’Italia.

La novità della riforma governativ­a è che l’indennità mensile di accompagna­mento diventerà assegno di assistenza, in fase sperimenta­le circoscrit­to agli ultra ottantenni, con gravissimi bisogni assistenzi­ali e un reddito Isee inferiore a 6 mila euro. Una platea, quindi, almeno nella prima fase molto limitata. Che vuol dire in concreto? Costoro, diversamen­te da oggi, riceverann­o, oltre alla tradiziona­le quota fissa monetaria pari a 531 euro, una integrativ­a variabile, per l’acquisto di servizi e contratti, pari a 850 euro. In soldoni, vuol dire 1.380 euro mensili. Ma, e questo è molto importante considerar­lo, tale assegno variabile sarà alternativ­o ai bonus già erogati in alcune regioni. Questi 850 euro potranno essere spesi non per le necessità quotidiane ma solo per pagare servizi di cura e assistenza. Per esempio, se si preferisce farsi assistere a casa e non andare in una Rsa, per retribuire un caregiver o un badante. Un primo passo, pur se con insopporta­bile ritardo, verso una società anche a misura di anziani.

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