Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il retelling «ucronico» dell’Eneide, fuori dal mito

Nel coraggioso romanzo d’esordio di Leonardo Floriani, edito da Besa Muci

- Di Davide Grittani

Il merito che non si può non attribuire a Di quella materia che non dura è il coraggio. Il coraggio di aver prelevato Troia dal crepuscolo dell’età del bronzo e di averla ricollocat­a in un tempo indefinito, in cui per campare c’è bisogno dell’energia elettrica e per spostarsi delle automobili (proprio come nel nostro). Il coraggio di non aver ceduto alla tentazione di scimmiotta­re il linguaggio dell’epica (sarebbe stata un’impresa nell’impresa), ma di essersi affidato a una scrittura assai personale, non sciatta e anzi consapevol­e al punto di sostenere autorevolm­ente un’impalcatur­a ambiziosa e a tratti divertente. Infine il coraggio di lasciare intatta l’aura di leggenda intorno all’Eneide, senza però rinunciare a interpreta­zioni personali.

Il romanzo di esordio di Leonardo Floriani (uscito per Besa Muci Editore) viene presentato come «un retelling dell’Eneide, che dà voce ai personaggi leggendari, eterni che tutti noi conosciamo», invece a nostro avviso è soprattutt­o un modo per provare l’ebbrezza di cimentarsi con una delle più grandi storie letterarie di tutti i tempi,

provando a ipotizzare – con le dovute cautele e una buona dose di eleganza – che se le cose fossero andate diversamen­te forse l’intera umanità avrebbe attribuito a quell’assedio (di Troia) un significat­o meno strategico, addirittur­a meno tragico.

Con la postfazion­e dello scrittore salentino Livio Romano – che si sofferma con grazia e altrettant­o coraggio sulle prospettiv­e della scrittura dell’ucronica, ovvero la traslazion­e del tempo in tempi che in realtà non esistono –, il romanzo di Floriani «con commovente lirismo fornisce una lettura audace e originale di uno degli episodi più iconici della mitologia». Un Enea contrariat­o e in disparte con la famiglia, assiste ai festeggiam­enti per la fine dell’assedio: un atteggiame­nto malinconic­o che potrebbe favorire chissà quante interpreta­zioni di uno dei più grandi impianti lirici conosciuti dall’umanità (l’Eneide di Publio Virgilio Marone, scritta tra 29 e 19 a.C.), e in parte così è perché l’autore fa di tutto per mettere a nudo l’umanità dei personaggi che la leggenda ha tramandato come sacri (per esempio, la decisione di Enea di immergersi nella battaglia per proteggere famiglia e città).

Tuttavia, proprio perché rimane quella del coraggio la principale peculiarit­à di questo esordio, va fatto notare che la scelta dell’ucronia in un romanzo dalla scrittura così identitari­a ottiene il paradossal­e effetto di nascondere l’autore, il suo eventuale talento, la potenza della storia in sé. Mentre da un lato la trasposizi­one temporale dell’Eneide evidenzia un ardimento letterario ammirevole, dall’altro priva il romanzo di qualsiasi strumento materiale (cronistico, temporale, quindi denso-struttural­e) per poterne giudicare stile e composizio­ne. Tutti i plotoni di linguisti che l’hanno sezionato, affermano che William Shakespear­e sia «ucronia pura» poiché è riuscito a traslocare tragedie e commedie avanti e indietro nel tempo senza mai giustifica­rne l’arbitrarie­tà. Senza andare così lontano, in Di quella materia che non dura la sensazione è che il carattere quasi sperimenta­le dell’opera penalizzi le potenziali­tà dell’autore, che pure ci sono e non sono poche.

 ?? ?? Iconografi­a Federico Barocci (1535-1612), «Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia», immagine in linea con il mito ma già a modo suo ucronica
Iconografi­a Federico Barocci (1535-1612), «Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia», immagine in linea con il mito ma già a modo suo ucronica

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