Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Pronto soccorso, altra aggressione L’ira dei medici: «Siamo stufi»
Il secondo episodio violento negli ospedali in pochi giorni è l’ennesimo campanello d’allarme, che sembra continuare a suonare inascoltato. Appena martedì, al pronto soccorso del Dea di Lecce, un paziente stanco di attendere il proprio turno si è scagliato verbalmente contro un’infermiera, incrinando con un pugno il vetro divisorio del triage; l’altro ieri mattina, invece, stavolta all’ospedale di Copertino, un giovane di 32 anni ha inveito contro i medici dello stesso reparto, per poi sfogare la sua rabbia contro il vetro di una finestra, mandandolo in frantumi. Per l’autore, che è stato bloccato e identificato dai carabinieri (ma non ancora denunciato), è scattato il ricovero coatto.
In risposta alle continue aggressioni nei pronto soccorso, i sindacati di categoria sono tornati a chiedere l’inasprimento delle pene per i responsabili, ma anche l’implementazione di misure preventive per cercare di garantire un ambiente di lavoro sicuro, come istituire un posto fisso di polizia in ogni struttura sanitaria, dotare i medici e gli infermieri di un pulsante antiaggressione, far frequentare loro corsi di autodifesa oppure dotarli di «bodycam» e smartwatch collegati con le centrali operative delle forze dell’ordine.
Che il «problema sicurezza» negli ospedali sia reale lo testimoniano i fatti. E non solo per via delle aggressioni al personale sanitario, purtroppo ormai divenute quotidiane: nello stesso ospedale di Copertino, qualche giorno prima dello scorso Natale, ad esempio, alcuni ladri erano riusciti addirittura a sradicare la cassaforte del Cup, prima di essere sorpresi e messi in fuga dai vigilanti.
«Premettendo che viviano in una società violenta, di fronte ai tanti fatti di violenza di cui siamo vittima – sbotta il presidente dell’Ordine dei Medici, Donato De Giorgi – l’azienda sanitaria ha delle responsabilità importanti: chi dovrebbe tutelarci non lo fa e ci lascia soli. Ogni giorno riceviamo minacce, insulti e aggressioni, che ci siamo anche stancati di denunciare. Come siamo stanchi della solidarietà e delle parole: servono i fatti.