Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Sono pochi i vocaboli sulla lingua di chi fugge»
La poetica civile di Alessandro Cannavale nella sua ultima raccolta pubblicata da Besa Muci
Scatti, istantanee del quotidiano, impressioni su carta. Di ciò è fatta la poesia di uno dei più importanti giovani poeti di Puglia, riconosciuto nel bel paese per la sua poetica civile, sempre e in qualche modo legata allo sguardo sui vinti. Alessandro Cannavale è ritornato in libreria con una nuova raccolta poetica, L’agguato della tenerezza (Besa/Muci). Una vera e propria premessa, che si fa promessa: «Scrivo perché/ resto fedele/ a ciò che resiste». E infatti di resistenza è piena l’opera, fra i canti di pane, in una terra che è sempre carnale, ruvida ma accogliente, erosa.
La poesia di Cannavale è sguardo che si fa azione, impegno e rivoluzione. C’è posto per chiunque si fa curare da una comunità («in una culla di braccia») che riconosce i bimbi per i quali «non arrivano magi». C’è un continuo «disumano» che «impone i chiodi della croce/ ai palmi di chi non chiede/ alcuna santificazione». Ed è per questo che il lettore e la lettrice che fanno l’esperienza poetica, riconoscono: «Siamo tutti migranti/ su un mare di respiri», ci si rifugia nelle parole per «stare al mondo». Restarci come uomini e donne impegnati, sebbene costretti a vivere nell’incertezza. La tenerezza, quindi, è la ricerca continua di un umano che fa fatica a riconoscersi in un mondo che ha perso il suo senso, fra porte, muri, porti respingenti e umani sempre in attesa che qualcuno sia disposto ad accoglierli. La terra cui fa continuamente riferimento il poeta è madre, Cannavale disdegna la matrignità. È poetica della resistenza, anche rispetto a un Sud continuamente rivendicato e santificato, nonostante tutto.
I versi di Cannavale hanno la caratteristica di quella «poetica della parola» che fa del frammento ungarettiano quel magma poetico dallo stile inconfondibile, unico. Perché entrambi, il poeta di Mattina e Cannavale conoscono il loro presente, come accumulo di un passato che si proietta in un futuro già arido. In un tempo in cui sono «poche le parole/ sulla lingua di chi fugge». Eppure, si tratta di una poesia dell’impegno, che invita a «solcare il proprio tempo con sguardi profondi». Un cantore dell’amore che si rinnova continuamente, facendo delle derive e degli approdi la sostanza di cui sono fatti gli umani. Alla deriva ma capaci di resistere, al modo di Vito Teti, antropologo, sociologo, poeta della restanza a cui sono dedicati i versi d’apertura del libro. Fra esili, spatriati e attracchi, Cannavale riscrive la tenerezza perché se ne possa fare un agguato d’amore, per quelli che della parola conoscono i «modesti discorsi di sabbia/ dissolti in assalti di vento», ma si riconoscono «cielo in grumi/ invidia di astri di vento». Creature arboree e marine, affidate alla tenerezza dei tempi che, altrimenti, rappresentano un agguato.