Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’effetto domino della crisi
Il 10% circa del totale. Per di più si tratta della regione del Mezzogiorno d’Italia con il maggior numero di epicentri della crisi in tutto il Sud, che superano di gran lunga i 13 della Campania, che pure è un territorio più vasto. In pole position l’automotive nonostante la ripresa del mercato dopo quattro anni di calo delle vendite, discesa che continua a preoccupare sul piano occupazionale in seguito alla scelta europea di fermare la produzione dei motori endotermici nel 2035. Una scelta che impatta sull’indotto di componentistica largamente presente sul territorio regionale. Così come non vivono certo momenti floridi anche le aziende di elettrodomestici e di termomeccanica, frenate dalle nuove regole della transizione green.
È il chiaro sintomo di un malessere che non si limita ad Acciaierie d’Italia, quindi, ma come una raffica di vento impetuoso soffia scuotendo le fondamenta di tutti i maggiori stabilimenti metalmeccanici regionali, da Leonardo alla Dema di Brindisi, dalla Magneti Marelli all’Iveco di Foggia, passando per il colosso della Bosch di Bari, dove lavorano circa 1.600 persone. Senza naturalmente trascurare le raffiche di licenziamenti e i continui provvedimenti di cassa integrazione nelle piccole e medie aziende. Tutti pedoni in bilico su una scacchiera dove è in atto una sorta di effetto domino, che parte dalla meccanica ma si estende a macchia d’olio fino alla chimica, presente in forze nel Brindisino, come ammoniscono i sindacati di categoria. D’altro canto, l’ultimo report della Banca d’Italia Puglia di fine 2023 sentenziava chiaro e tondo che le imprese avevano già previsto per quest’anno una fase di debolezza dell’accumulazione, con la conseguenza di una sempre maggior quota di aziende regionali che aveva pianificato una riduzione della spesa per investimenti.
Segnali univoci, che testimoniano come il barometro dell’industria territoriale segni ancora tempesta. Ha ragione il segretario generale della Fim Cisl, Roberto Benaglia, quando sostiene che l’Italia, e soprattutto il Sud, hanno più che mai bisogno di una politica industriale degna di questo nome. Invece, è da troppo tempo assente nel nostro Paese e nel Mezzogiorno, con gli effetti perversi che ciò comporta in termini di mancato sviluppo economico e di strisciante perdita dei posti di lavoro.