Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SE LA POLITICA È SOLO STRATEGIA
Le amministrative si avvicinano e i dirigenti di sinistra e destra appaiono come generali che disegnano la battaglia a tavolino, mentre la città brucia. La sinistra barese appare prigioniera di un labirinto da cui non si intravvede una via d’uscita. Due gruppi, uno contro l’altro armati: Vito Leccese, con i partiti strutturati della coalizione, e Michele Laforgia, appoggiato da associazionismo, partiti e movimenti di sinistra-sinistra. Due concezioni diverse che emergono dalle parole che esprimono due programmi: continuità (Leccese); discontinuità (Laforgia). A destra, apparentemente, avrebbero meno problemi. La coalizione, da Roma alla Puglia, sembra sempre sul punto di deflagrare, ma alla fine i leader trovano sempre la quadra. Come? Perché hanno un più sviluppato senso identitario (e, in questa fase, il potere come collante), e una più marcata definizione degli altri, del “nemico”: bianco o nero. Le sfumature di grigio vanno bene solo in qualche film “a luci rosse”.
Eppure, in questa stagione politica la classe dirigente della destra pugliese rischia non poco. Questa è la regione di Fitto e Mantovano, di Gemmato, Melchiorre e Sisto. Pezzi da novanta della nomenklatura della destra. Se dovesse andare male anche questa volta a Bari e a Lecce, nonostante il contesto nazionale, nessuno potrebbe girare la testa dall’altra parte. Ma in soccorso della destra potrebbe arrivare il fuoco amico della sinistra, con la consuetudine di valutare gli avversari con il proprio metro interpretativo.
La sinistra – come scrive George Lakoff, professore di linguistica e scienze cognitive a Berkeley, nel saggio “Non pensare all’elefante” – ritiene di convincere gli “altri” parlando di fatti. La destra, invece, in questa fase storica ha la meglio perché parla di identità e valori. Così in queste ore ci si culla su quelle che in “bersanese” (dal leader della sinistra Bersani) potrebbero apparire come due mucche nel salotto. A Lecce la coalizione sembra andare verso la candidatura di Adriana Poli Bortone. Nome storico della destra, ministro nella stagione dei governi Berlusconi, già sindaco del capoluogo salentino. Un “monumento” in quel mondo. Potrebbe spuntarla nei confronti di Paolo Pagliaro, consigliere regionale dalle mille battaglie per il Salento, e Ugo Lisi, già parlamentate e storica figura della destra salentina, appoggiato dalla Lega.
La sinistra si sfrega le mani, pensando ad una passeggiata. A destra non mancano, sottovoce, i malumori: «Adriana? Sì, ma…».
C’è sempre un “ma”, quando non si ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Quale sarebbe l’intralcio? Nientemeno, la non più giovanissima età di Adriana che pur ha due anni in meno del presidente Mattarella. Potrebbe essere questa una discriminante? Sarebbe inaccettabile. Semmai, la questione è diversa ed è prettamente politica: la capacità o meno della classe dirigente della destra salentina di selezionare una nuova classe dirigente. Tema politico e non da ufficio anagrafe. E a Bari la sinistra commetterebbe un errore madornale se si cullasse nella convinzione che i baresi non si affiderebbero mai ad un leghista, al giovane Romito.
Il partito di Salvini ha non pochi buchi neri soprattutto nelle politiche per il Sud. Ma essere leghista al Sud può rappresentare una contraddizione in termini, secondo il politicamente corretto, (alla stregua degli agnellini nel week-end di Pasqua, soprattutto in una fase in cui la Lega alza la bandiera dell’autonomia differenziata) ma non è avvertito come una sorta di “lettera scarlatta” dall’opinione pubblica di destra. Che è mobile per definizione e, dopo la fase del berlusconismo, scorribanda da Salvini a Meloni con estrema facilità. Poiché quello è il loro campo identitario.
Gli anti-progressisti di tutte le risme (patrioti, destra sociale, sovranista, frange persino liberali) sanno come restare uniti. Secondo l’insegnamento di Deng Xiaping: «Non importa che sia un gatto bianco o nero, finché cattura topi è un buon gatto». A destra, quindi, senza fronzoli.