Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’allarme di Luciano Canfora «Il nazismo è ancora tra noi»
Confronto sul tema, domani al Galleria, dopo il film «La zona d’interesse»
«Dire che il fascismo non c’è più è un autoinganno». Luciano Canfora, professore emerito dell’Università di Bari, domani al Multicinema Galleria, insieme a Michele Laforgia, tornerà ad aprire il dibattito su nazismi e neonazismi, in occasione della proiezione del film La zona d’interesse di Jonathan Glazer, adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Martin Amis candidato a cinque premi Oscar. Il film è un ritratto del quotidiano di Rudolf Höss, direttore del campo di concentramento di Auschwitz.
Canfora, qual è il punto di tangenza tra nazismo e neonazismo?
«Il nazionalsocialismo ha commesso crimini di ogni genere, per 12 anni almeno, dal 1933 al 1945. Il neonazismo è nato dopo, nella Germania stessa, sulla base di alcuni elementi nuovi. Quest’ultimo aveva una doppia vita: da un lato vedeva alcuni protagonisti del Terzo Reich, come Hans Globke, sistemati nel nuovo sistema politico degli anni Cinquanta; dall’altro c’erano gruppi organizzati in partiti minoritari, tesi soprattutto a ottenere una rivincita che in Germania aveva come base la questione del territorio perduto a est, dopo la sconfitta e la definizione dei nuovi confini. Poi il neonazismo è uscito dai confini della Germania, toccando anche l’Italia. Movimenti che esplicitamente si richiamano alle posizioni teoriche del nazismo, a partire dalla supremazia bianca. Questo suprematismo, il ripiegamento sulla questione
razziale, ha avuto un certo seguito nelle formazioni di estrema destra».
Il mese scorso è uscito per le edizioni Dedalo il suo libro “Il fascismo non è mai morto”. Quali sono gli elementi che, oggi, restano del Ventennio?
«Il fascismo è strettamente legato al nazionalsocialismo. E non si interruppe con la fine della Seconda guerra mondiale. Basti pensare che la Spagna è stata sotto il governo di Fran
co fino alla sua morte, alla metà degli anni Settanta. E, oggi, le elezioni del 2023 hanno visto per un soffio non giungere al governo il movimento neofranchista, e quindi neofascista, Vox. Quindi il fascismo continua a toccarci. Le forme concrete con cui quel tipo di movimento politico riesce a mettere radici sono facili da individuare. E cioè cercare di intercettare il disagio sociale per indirizzarlo in forma nazionalistica. Questo semplice ed efficace meccanismo si riproduce continuamente, perché è la società stessa, nella sua ingiustizia, che offre il destro alla vitalità di questi movimenti».
In questo contesto qual è il ruolo che gioca la memoria, sia declinata nella produzione artistica e cinematografica che porta a film come “La zona d’interesse”, sia intesa come commemorazione di eventi del passato, come
l’80esimo anniversario del primo congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale, celebrato proprio quest’anno?
«L’arte, se capace di coinvolgere, ha un effetto molto forte. Anche se è facilmente contrastabile, perché finzione artistica, che pone un filtro alla realtà. Penso, per esempio, al film americano Per chi suona la campana, sulla guerra civile spagnola. E, d’altra parte, ad altri film come L’assedio dell’Alcazar, che guardavano lo stesso episodio da un punto di vista opposto. Anche l’aspetto della commemorazione è fondamentale. Intanto perché perdere la conoscenza del passato rende più deboli. Tuttavia, in questo caso, l’errore sarebbe di farne una celebrazione puramente esaltatoria. Al contrario, bisogna parlare in maniera seria del passato: è giusto celebrare i risultati, ma anche raccontare le difficoltà per raggiungerli. Come quelle che hanno portato alla creazione di un movimento antifascista».
Come vede la situazione in Europa?
«L’Unione Europea non se la passa molto bene. La situazione in Ungheria ora è sotto gli occhi di tutti per la vicenda della nostra connazionale, Ilaria Salis. Ma quello che è rimasto meno in vista è che, tranquillamente, nella città di Budapest, ogni 11 febbraio, si celebrano le truppe del Terzo Reich. Questi non sono fenomeni marginali e sarebbe bene parlarne sempre, non soltanto quando straripano e diventano veri e propri reati».
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L’Unione Europea non se la passa molto bene Pensiamo all’Ungheria, dove ogni 11 febbraio si celebrano le truppe del Terzo Reich