Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La musa americana di Fernanda Pivano
La scrittrice Francesca Palumbo ricorda con uno spettacolo al Piccolo di Bari la grande studiosa e traduttrice di letteratura a stelle e strisce
Una traduttrice che ha portato la letteratura americana in Italia. Una donna dell’alta borghesia, con un’educazione vittoriana, come lei stessa la definiva. Una professionista della parola capace di consegnare all’Italia una ventata di modernità, attraverso i libri che consapevolmente sceglieva di tradurre. Una «freelance ante litteram». Tutto questo, in un periodo in cui (quasi) tutti i mestieri erano nelle mani degli uomini. È Fernanda Pivano, nata a Genova nel 1917. E scomparsa a Milano nel 2009. A lei, sabato e domenica, al Piccolo Teatro D’Attoma a Bari, sarà dedicato un reading firmato dalla scrittrice e docente di Lingua e letteratura inglese Francesca Palumbo. Attraverso le parole dell’autrice il pubblico ascolterà il racconto della vita della traduttrice, fatta di viaggi, incontri e libri. «Eppure, ancora poco conosciuta e poco studiata - precisa Palumbo -. Nonostante sia la donna che ha colto la trasformazione e l’ha portata qui, in Italia». Proprio per questo, l’obiettivo del reading sarà far conoscere al pubblico la quotidianità di Pivano.
Fernanda, detta Nanda, si forma a Torino. È qui che frequenta il liceo classico Massimo D’Azeglio. Con lei, in aula, c’è Primo Levi. Insieme ascoltano le lezioni di italiano di un giovanissimo supplente: Cesare Pavese. Che diventerà punto di riferimento di Nanda. «Il primo capitolo interessante della sua vita è l’amicizia con Pavese – spiega Palumbo -. Tutto parte dalla curiosità che lei muove nei suoi confronti. Lui le mette in mano quattro libri fondamentali. Tra cui spiccano gli scrittori Ernest Hemingway ed Edgar Lee Masters, che lei decide di tradurre di nascosto, venendone folgorata. Pavese trova questa traduzione e pensa di farla pubblicare da Einaudi. Da lì inizia la sua carriera di traduttrice, forse senza che lei se ne rendesse conto. Lei riesce a scoprire ed esplorare queste opere. Attraverso i libri che decide di tradurre e gli autori che decide di sostenere riesce a far capire le ragioni alla base di quei testi letterari».
Da quell’incontro, Nanda diventa una delle maggiori interpreti della letteratura statunitense contemporanea con un’intensa opera di consulente editoriale e saggista. Ha tradotto Faulkner e Hemingway. Ha attraversato la beat generation, immergendosi nei testi di Ginsberg, Burroughs, Ferlinghetti, Kerouac. «È una donna che ha lasciato un bagaglio culturale enorme: lei ci ha fatto conoscere l’America», continua Palumbo.
Il titolo del reading, infatti, è Effe Pi. Nanda, che ci ha portato l’America. Nella performance, Palumbo parlerà in prima persona, giocando con il suo nome e cognome, che, casualmente, ha le stesse iniziali di quello di Fernanda Pivano. Il ritmo e i temi trattati nel reading saranno scanditi dai contributi musicali di Enzo Granella e Marcello Maggi. E, con la regia di Maurizio De Vivo, saranno tanti gli aspetti della vita di Pivano a essere messi in risalto. Dai suoi anni in conservatorio alla passione per la musica, dall’amicizia con Fabrizio De André agli incontri con Bob Dylan, Bruce Springsteen e Patti Smith. Dal suo amore eterno per l’architetto e designer Ettore Sottsass fino al rapporto da lei instaurato con le nuove generazioni. Il reading, poi, porrà anche alcune domande: «Proverò a coinvolgere il pubblico nei diversi aspetti della personalità di Nanda. Da un lato è l’intellettuale rivoluzionaria che ha tradotto tanti scrittori di sesso maschile; è lei che, con Pavese e Vittorini, ha ascoltato alla radio il discorso di Roosevelt sulle quattro libertà. Dall’altro è la donna che resterà sempre fedele a suo marito, nonostante tutto».
In ogni caso, Fernanda Pivano è una donna che parla ancora oggi, attraverso le sue traduzioni: «Ha sempre creduto nelle nuove generazioni – conclude -. Fino alla vecchiaia, diceva che la vita doveva essere presa come un gioco. Non si è mai stancata, nonostante l’età. La sua ultima casa, a Trastevere, la chiamava “casba”, perché era piena di giovani scrittori e poeti, a cui non ha mai negato consigli».