Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il «Ruggito» del tunisino Aymen Mbarki
«Za’ir» («Ruggito») è la prima mostra personale in Italia dell’artista tunisino Aymen Mbarki che porta a Bari, da Voga Art Project (fino al 13 aprile, in via Curzio dei Mille 58, info www.vogaartproject.com), un compendio della sua ricerca impegnata a recuperare la pienezza di segni e grafie e la loro incisività visiva sulla superficie bidimensionale. In linea con il carattere aniconico dell’arte orientale, edificata dai suoi esordi sulla mancanza d’immagini, l’artista si avvale di disegni e pitture per intraprendere, su tale tradizione, la strada di una complessa esplorazione formale. Usa una scrittura che serve a elevare la parola in quanto gesto ma, anche, in quanto pensiero e che poco conserva della originaria calligrafia islamica. Piuttosto, Mbarki bypassa la «vessata questio» della rappresentazione e imposta le sue creazioni puntando al segno come un puro veicolo espressivo in composizioni dove campi monocromi intercettano composti grafemi. Sullo sfondo, riverbera il ricorso a un linguaggio universale, a una forma archetipa della comunicazione, a una koiné che tiene unite più culture, soprattutto quelle provenienti da un Mediterraneo, oggi ancora terreno di conflitti. Sull’argomento insiste «La biblioteca di Alessandria», una disperata voragine di segni e figure che inghiotte saperi e omaggia la dolorosa perdita. Tra le quali va menzionata anche quella del Corano blu, antico manoscritto in caratteri cufici, cui fanno riferimento Fulk (barche) e Maoul (Onde), opere su carta verde-azzurra dall’ondulato disporsi degli alfabeti di sua invenzione. Mbarki (Tunisi, 1983), dopo essere stato folgorato a cinque anni dall’immagine di Goya «Saturno che divora i suoi figli», ha compiuto il suo percorso formativo da autodidatta studiando l’arte antica. Nella mostra barese presenta elementi calligrafici disposti in asimmetriche relazioni, in lettere ammiccanti a carattere arabi ma distorti, personalizzati, quindi senza rimandi alla realtà, asemantici, con ampie zone di vuoto. Fino a quando il tratto, approdato su carte provenienti dalla Medina di Tunisi, cessa di esistere nella sua astrazione per farsi forma e il segno trova un suo preciso referente. L’artista ne asseconda i suggerimenti e costruisce figure, silhouette antropomorfe, emergenti con linee sottili, esitanti ma chiare nella definizione dei corpi. Sono sei tavole della serie «The Dancer and the Bird», con un danzatore e un uccello in assetto ruotante da mistica sufista per agganciare una rinnovata trascendenza.