Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
IL TRENO DEI SOGNI CHE S’INFRANGONO
Emanuele Imperiali
Rutilanti progetti di alta velocità da e per Bari, da troppo tempo attesi ma ora in via di realizzazione grazie ai cospicui finanziamenti del Piano nazionale ripresa e resilienza. Mentre, a pochi chilometri di distanza, si susseguono linee ferrate da terzo mondo, frane che bloccano per giorni la circolazione come sull’asse CasertaFoggia, stazioncine dismesse, in qualche caso ancora pericolosissime tratte a binario unico, neanche elettrificate, con carrozze viaggiatori neppure adatte al trasporto del bestiame. Sono due volti delle ferrovie pugliesi diametralmente opposti. È evidente che questa discrasia certifica la inconciliabilità di mondi contrapposti, che neppure si parlano, quello degli uomini d’affari e dei cittadini agiati che possono permettersi di pagare una corsa di treno anche più di cento euro, e quello dei pendolari che ogni giorno soffrono sulla propria pelle i disagi dei trasferimenti da e verso i luoghi di lavoro.
In questi giorni sui social più diffusi Rete ferroviaria e Polo Infrastrutture del gruppo Fs stanno pubblicizzando i nuovi interventi in corso di realizzazione sulle maggiori tratte regionali. Si va dalla nuova linea AV/AC da Bologna a Lecce, al potenziamento e velocizzazione della Napoli-Bari, della Taranto-MetapontoPotenza, al collegamento ferroviario tra Brindisi Centrale e l’Aeroporto del Salento, per finire ai megaprogetti che riguardano la stazione Alta Velocità Foggia-Cervaro e l’adeguamento e trasformazione di oltre 20 stazioni, tra cui il nuovo hub di Bari Centrale. Spesa prevista 11 miliardi, che non sono mica bruscolini. Snodi infrastrutturali indispensabili per mettere la Puglia in condizione di reggere la sfida della competitività non solo sui mercati domestici ma anche su quelli internazionali. Ma è come quando un bimbo povero guarda ad occhi spalancati una vetrina dove giocattoli costosissimi e per lui inavvicinabili lo catturano con la fantasia. Dietro quella ideale vetrina ci sono i tanti operai, impiegati, disoccupati, madri di famiglia, studenti. Coloro che quotidianamente debbono fare i salti mortali per mettere insieme il pranzo con la cena, i quali per spostarsi sono costretti ad aspettare ore treni locali che non arrivano mai in orario, a salire su convogli ottocenteschi privi perfino delle elementari norme di sicurezza e di igiene, a viaggiare spesso in piedi stipati come su un bus in una grande città nelle ore di punta.
È questo il popolo che Pendolaria annualmente fotografa per restituirci un’immagine del Paese reale che sopravvive in un Mezzogiorno dimenticato e reietto. Quanti, cioè, salgono su convogli che hanno un’età media di oltre 18 anni. Dove ci sono solo 158 treni locali contro i 463 della Lombardia. Come avviene sulla linea ionica, che collega Taranto e Reggio Calabria, tre regioni e tanti centri portuali e turistici, il cui progetto di adeguamento, velocizzazione, elettrificazione e upgrading tecnologico sarà completato, se non ci saranno altri intoppi, non prima della fine del 2026. Nel frattempo, i pendolari sopportano sulla propria pelle ritardi e disagi quotidiani su una linea vecchia, a binario unico non elettrificato e con i bus sostitutivi troppo spesso in ritardo, come accusa il report 2024 di Legambiente. Un caso limite? Forse, ma purtroppo non è il solo. Che dire, allora, della Bari-TraniBarletta, sulla linea adriatica tra Pescara e il capoluogo pugliese, dove incendi in prossimità dei binari, ritardi e guasti hanno reso la circolazione dei treni lenta e assai poco affidabile? Con vagoni costantemente sovraffollati, tanto che in alcuni casi non sono potuti partire perché stracolmi, e ritardi che in più di un caso hanno superato l’ora e mezza, rendendo difficoltoso un utilizzo quotidiano del servizio, dove sono continui i guasti che hanno reso la circolazione dei treni lenta e assai poco affidabile? Una situazione che non è destinata a migliorare nel breve periodo e che i comitati dei pendolari denunciano da anni, essendo diventata intollerabile per lavoratori e studenti.
È vero, i gestori delle tratte sono diversi, non sempre si tratta di Ferrovie dello Stato, ma un Paese che voglia candidarsi davvero a essere moderno e competitivo, può continuare a far finta di niente, e a nascondere le magagne sotto la sabbia, per far risplendere solo le poche, care linee dell’Alta Velocità?