Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il 4% dei pugliesi soffre di disturbi alimentari «I problemi con il cibo nascondono un dolore»
Giornata del fiocchetto lilla, parla lo psicologo
Oggi è la giornata del “fiocchetto lilla”, dedicata alla sensibilizzazione sui disturbi alimentari. Sono tre milioni gli italiani che ad oggi ne soffrono e dal 2020 in poi, complice la pandemia, l’aumento dei casi è stato esponenziale. Secondo uno studio condotto dall’osservatorio “Unobravo”, in Puglia il 4,2% delle persone sono alla ricerca di un supporto psicologico per possibili disturbi legati alla sfera della nutrizione. «Il lavoro da fare è ancora tanto anche perché i casi sono in crescita; siamo passati da una richiesta a settimana per l’inizio di nuove terapie, fino a quattro/sei – spiega Giuseppe Magistrale, psicologo e psicoterapeuta del centro Dca di Bari –. Uno degli ostacoli che affrontiamo più spesso con i pazienti che iniziano un percorso di guarigione da un disturbo alimentare è la validazione del problema. Temono che il loro dolore non venga compreso, perché socialmente è visto in modo “superficiale”, come fosse un capriccio, oppure spesso si pensa che siano disturbi legati solo ad un corpo estremamente magro, quando in realtà possono colpire chiunque».
Pregiudizi e paura di non essere compresi: bilance e calorie sono solo una piccolissima parte di un malessere che disintomo venta più grande del proprio io, ma «è importante cogliere i segnali e tendere l’orecchio, per capire se determinati comportamenti possono essere di un dolore più profondo» spiega Magistrale. Disturbo alimentare non è sinonimo speculare di problema con il cibo: «C’è un dolore dietro che va compreso. Per quanto certi comportamenti ci sembrino insensati, dobbiamo provare a guardare le cose dalla prospettiva di chi soffre, capendo quale sia lo scopo, perché si possono trovare delle alternative e sviluppare altre aree in cui soddisfare quei bisogni. Piccoli passi graduali, ma sempre rispettosi: solo così con il tempo si ricomincia a vedere il cibo per quello che è, non un nemico da sconfiggere».
La “non” identificazione con la propria malattia è un processo fondamentale nel percorso di guarigione, perché rappresenta solo una parte di vita. Per Stefania, quel pezzo della sua storia personale ha avuto un lieto fine: «Avevo vent’anni quando ho cominciato a sviluppare problemi con il cibo, e per me sono stati la manifestazione di malessere che mi portavo dentro, di tanti fattori che mi creavo un grande disagio. L’anoressia era diventata il mio strumento di controllo sul mondo: tutto ruotava attorno al cibo. Quando ho capito che stavo toccando il fondo, ho preso tutta la forza che avevo in corpo, e ho chiesto aiuto». Il supporto medico, assieme a quello delle persone a lei care che l’hanno sostenuta nel suo percorso di guarigione, sono state l’ancora di salvezza della venticinquenne: «Ammettere di avere un problema è il primo passo per uscirne. Non è stato facile - racconta Stefania - ci sono giorni in cui non vuoi guarire e giorni in cui non vedi l’ora di tornare a stare bene. Ho cominciato a ritrovare la forza e ristabilito le priorità della mia vita, quindi anche nei momenti no pensavo “ma che mi frega di perdere qualche chilo?”, non è questo l’importante. Quando sei “sazia” di felicità, di cose da fare e che ti rendono orgogliosa, quando sei circondata da gente che ti vuole bene, nel tuo stomaco non c’è spazio per quella maledetta anoressia. Devi voler guarire. Come? Deve maturare la consapevolezza che ce la si può fare. È una lotta, ma la si può vincere».