Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Frequency Disasters e I Paesani: tracce di free
Usciti alla fine del 2023, i due album di cui ci occupiamo oggi hanno in comune un solo strumentista (sui dieci complessivamente impegnati), ovvero il contrabbassista barese Pierpaolo Martino, peraltro professore di letteratura inglese all’Università, oltre che vulcanico musicologo e musicista. A parte la sua presenza, in comune i due dischi hanno la barra dritta sull’improvvisazione, ovvero un approccio alla creazione musicale dove la blanda traccia di un tema (se esiste) non impedisce ai brani di prendere direzioni sorprendenti. Detto questo, l’estetica di fondo e i risultati sono ben diversi, con grande scuorno di chi pensa che il jazz, soprattutto quello più «free» o radicale, sia monotono e uguale a se stesso. Niente di più falso. I Paesani sono un ensemble a geometria variabile, nato a Noci per iniziativa dei «reduci» locali del glorioso Europa Festival Jazz degli anni Ottanta e Novanta, a cominciare dal fondatore Vittorino Curci, poeta e sassofonista. Il loro orientamento prende dalle esperienze storiche del free jazz e della musica creativa e «radicale» europea un’attitudine spesso ebbra o incazzata, dionisiaca, caratterizzata da un incedere caracollante e da una notevole propensione allo sberleffo; la debordante clownerie e il graffio abrasivo alle convenzioni vanno a braccetto. Così, dopo un primo album ribollente, nel secondo Braastabrà (arricchito dai versi del dadaista Hugo Ball e dai suoni aspri del dialetto) e nel recentissimo We Remember Gianni, dedicato alla memoria del grande Gianni Lenoci, è invalsa l’abitudine di chiamare ogni volta un amico importante, prima il batterista tedesco Günter «Baby» Sommer e ora, con la tuba e il serpentone, il francese Michel Godard. L’organico è fortemente atipico (due sax, flauto, tuba, mandolino, chitarra, contrabbasso e batteria), gli otto brani del disco un caleidoscopio di musiche sempre spiazzanti. Di ben altra impostazione invece il trio angloitaliano Frequency Disasters, dove al contrabbasso di Martino si accompagnano il pianoforte di Steve Beresford, un guru delle «altre musiche» britanniche, e la batteria di Valentina Magaletti, barese di nascita e londinese per (felice) scelta. La loro estetica è, a dispetto di una pratica improvvisativa assolutamente radicale, piuttosto «apollinea» per la sua imperturbabile serendipità da galleria d’arte. Naize si apre con un Treesqueak che detta la linea, con il pianoforte che suona note sparse e assorte in uno spazio dove contrabbasso e batteria riempiono lo spazio sonoro; l’effetto, surreale, è quello di un Thelonious Monk in fonderia. Ma quante sorprese arrivano con l’uso dell’elettronica e dei famosi pianini-giocattolo di Beresford.