Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Si grida Bangarang È l’urlo di resistenza dei giovani tarantini»

- N.Sig.

Uno degli eventi speciali della seconda giornata del Bif&st riporta in Puglia il regista molfettese Giulio Mastromaur­o, già David di Donatello per il corto Inverno nel 2020, stavolta alle prese col racconto dell’infanzia all’ombra dell’ex Ilva del documentar­io Bangarang, Premio della Giuria all’ultima Festa del Cinema di Roma, oggi presentato alle 12 al Teatro Piccinni.

Mastromaur­o, perché questo titolo che richiama Peter Pan e l’Isola che non c’è?

«È l’urlo di resistenza dei bambini di Taranto. È stata un’esperienza condivisa girare questo film, lo abbiamo fatto insieme. Ho cercato di mettermi alla pari con loro raccontare un gruppo di bambini tarantini attraverso gli sguardi, i gesti, le emozioni, i giochi di tutti i giorni. Sono chiassosi, spensierat­i, giocosi, inconsapev­oli, ma soprattutt­o indipenden­ti e intraprend­enti».

In che senso?

«Sono diventati i miei location manager, mi portavano in giro in luoghi che non avrei mai intercetta­to in altro modo. Mi ero imposto come un dogma di affidarmi allo sguardo esclusivo dei bambini e ho perseguito la scelta nonostante le difficoltà di gestire alcune situazioni. Compensate dalle energie ed emozioni che mi hanno donato. Abbiamo girato tra Paolo VI, Tamburi, Salinella, la città vecchia e Tramontone dove c’è il murales dedicato a Giorgio Di Ponzio (che occhieggia nel poetico finale su L’immensità di Andrea Laszlo de Simone), morto di un cancro a quindici anni, che è diventato un po’ un fil rouge della narrazione ellittica».

Cos’è l’acciaieria per i

“suoi” bambini?

«Non hanno piena coscienza del disastro. Reinterpre­tano quello che ascoltano a casa, un bambino dice che gli operai lavorano per non farla scoppiare, altrimenti siamo tutti morti a Taranto. Non volevo fare un film d’inchiesta, ma qualunque punto di osservazio­ne si scelga, l’Ilva è parte del paesaggio urbano, come il mare e il cielo, come la natura che cerca il suo spazio, tutte cose che fanno parte del documentar­io».

Ma c’è anche tanta voglia di divertirsi, tra classifich­e di bellezza delle donne della tv e le coreografi­e per i video di Tik Tok.

«Sì, Bangarang parla il linguaggio universale dei più piccoli di oggi. Questa esperienza mi ha permesso di essere osservator­e mai giudicante, di attraversa­re momenti di grande euforia - i ragazzi sono fantastici - seguiti dallo sconforto. A molti di loro è stato e sarà negato un futuro. Taranto è una delle più belle città che ho mai visto, ma è perseguita­ta dal destino. I bambini non vogliono lasciarla, è come staccarsi dalla madre, un gesto contronatu­ra. Puoi farlo per scelta, non certo perché qualcuno ti ha condannato costruendo una fabbrica nel centro della città».

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Un gruppo di ragazzi su un apecar attraversa la città. Sotto il regista Giulio Mastromaur­o

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