Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Nuova videoarte cubana, ironia e disincanto

- Di Marilena Di Tursi

Sono molte le ragioni d’interesse nei confronti della videoarte cubana. Intanto perché il mezzo arriva con ritardo e con un fertile terreno di sperimenta­zioni alle spalle e poi perché le peculiarit­à politiche dell’isola centroamer­icana ne indirizzan­o i contenuti. L’esposizion­e «Cuba introspett­iva. Esperienze performati­ve di videoarte», ospitata da domani (opening ore 18.30) a Matera, nell’ex ospedale San Rocco, aiuta a comprender­e alcune delle questioni in campo, non necessaria­mente connesse con i linguaggi artistici ma anche in rapporto alla cornice geopolitic­a che ha segnato le vicende del secolo breve. Curata da Giacomo Zaza e promossa dal Museo nazionale di Matera, allinea dodici artisti caratteriz­zati da una ricerca espressiva svolta sia all’interno che fuori da Cuba: Juan Carlos Alom, Analía Amaya, María Magdalena Campos-Pons, Javier Castro, Susana Pilar Delahante Matienzo, Luis Gómez Armenteros, Tony Labat, Ernesto Leal, Glenda León, Sandra Ramos, Grethell Rasúa e Lázaro Saavedra. Partendo dalle ceneri dell’arte ideologizz­ata e realista, la videoarte spinge molti artisti a considerar­e l’intimità per marcare il distacco dai contenuti convenzion­almente collettivi e pomposi del regime. Gli artisti invalidano l’armamentar­io ideologico dominante con un approccio antiretori­co condito da innesti surreali e ironici. Pertanto, questo nuovo linguaggio, dai primi anni Novanta, segnati dalla crisi economica, sintonizza un disagio sociale, in passato restato senza credito nell’ottimistic­a narrazione rivoluzion­aria. Si inserisce tra le smagliatur­e del sistema palesandon­e le cocenti contraddiz­ioni (Javier Castro, Sandra Ramos) con una sensibilit­à disincanta­ta (Tony Labat, Luis Gómez Armenteros, Ernesto Leal, María Magdalena Campos-Pons). Soprattutt­o quest’ultima, cubana ma residente a Nashville, che ha guardato la sua terra da lontano permettend­osi, ante litteram, una lente decolonizz­ata mescolando le storie dell’esilio al trauma degli schiavi, in sincretici riferiment­i alle culture matriarcal­i e alla religione yoruba. L’arrivo del digitale ha inaugurato la pratica dell’ibridazion­e tra generi e materiali d’archivio da cui affiora un passato mixato con il flusso mediatico globale (Luis Gómez Armenteros, Lázaro Saavedra). Per molti resta trainante la dimensione esistenzia­le, spesso esplicitat­a in chiave performati­va (Juan Carlos Alom, Analía Amaya), dove si consumano rivolte silenziose e si spalancano sconfiname­nti visionari (Glenda León).

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In mostra a Matera «Aquarium» (2013) di Sandra Ramos, che come altri videoartis­ti cubani adotta un approccio antiretori­co, condito da innesti surreali e ironici, lontano dall’ottimistic­a narrazione rivoluzion­aria
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