Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

L’adolescenz­a, il calcio, le illusioni della vita

- Di Giancarlo Visitilli

Che fregatura la vita, quando, d’un tratto, si scopre di avere quindici anni. E la conseguent­e mancanza di tutte le certezze. Torna, ancora una volta potente con la sua narrazione, Enrico Macioci, originario della Capitale della Cultura 2026, classe 1975, in libreria da pochi giorni con il suo L’estate breve (Terrarossa, Bari 2024, pp. 128, euro 15).

Macioci conosce a fondo i bambini (Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, Terrarossa 2022, era sulla storia di Alfredino) e di essi accompagna la crescita. Lo dimostra con questa nuova avventura, in cui mette bene in evidenza il trambusto che accade nelle stagioni adolescenz­iali, con le estati che durano sempre poco rispetto ai lunghi inverni. Lo sa bene il protagonis­ta del romanzo. Appassiona­to di scrittura, amante del calcio, ma con qualche difficoltà di approccio alle sue coetanee. E come nelle adolescenz­e di tanti, tutti, c’è sempre qualcuno, qualcosa che arriva come un fulmine a cambiare i tempi e gli spazi in cui si pensava di poter adagiarsi, come ai tempi della fanciullez­za.

Nello stesso quartiere dove vive il giovane e bravo calciatore arriverà Michele. Un vero e proprio deus ex machina. Lo renderà consapevol­e di come «la maggiore bravura di un altro non annulla la nostra, però non c’è abbastanza spazio nel medesimo tempo e nel medesimo luogo per due abbastanza bravi nella medesima cosa: uno dei due deve cedere». Ed è così che l’amico di Michele comincia a gareggiare con se stesso, facendo l’esperienza del bene e del male, delle cadute e delle vittorie. Della vita, che «si scopre solo quando scopriamo la morte».

Questa parte del romanzo è un momento apice dell’opera, perché corrispond­e a quel tempo in cui si smette di essere infinito, come durante l’infanzia e, se arriva l’amore, Miriam, si fanno i conti con la propria esistenza: «Miriam diventa chi era. Chi ero io?». E allora nasce quell’esigenza di fermare il tempo, per ricordare madri e padri giovani, gli amici ancora bambini e un futuro che, in realtà, si è fatto presente. Con Miriam divenuta presto donna e lui rimasto ragazzino.

Ci si perde nella bellezza di un tempo in rewind nelle pagine di Macioci: si torna come sempre a rivedersi in un passato che non è mai trascorso per davvero. E la sua scrittura semplice e spesso poetica rende tutto più bello. Nonostante l’età in cui si è come «bombe a orologeria», da adolescent­i, «non si può mai indovinare se, dove e quando esploderan­no», la bellezza delle pagine del romanzo di Macioci rende tutti estranei alla propria vita: man mano che ci si addentra nel romanzo, ci si allontana dalla propria adultità. E non è questo il compito della letteratur­a? Renderci estranei, per restituirc­i diversi? E non si tratta di evitare, fuggire, se «non si dà prima un senso alla fuga».

Bellissime le pagine dense di una crescita che si fa sempre più consapevol­ezza. Si possono anche solo desiderare i Palloni d’Oro, scrivere, incontrare un editore al momento giusto o sbagliato. Ma tutto ciò «nulla ha che fare con ciò che realmente siamo o potremmo essere». Estati, nei lunghi inverni della vita.

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 ?? ?? Enrico Macioci e - sopra - la copertina del suo romanzo
Enrico Macioci e - sopra - la copertina del suo romanzo

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