Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il Salice Salentino «gastronomico» di casa Apollonio
Era il 1954 quando Piero e Salvatore Leone de Castris, nonno e papà di Piernicola, attuale proprietario dell’azienda, imbottigliarono per la prima volta il Salice Salentino. Il riconoscimento della Doc arrivò molti anni dopo, nel 1974, quando il Salice aveva già varcato i confini della regione spingendosi oltre oceano. Erano tempi difficili, in cui tutto quello che arrivava dalla Puglia doveva vincere la diffidenza e i preconcetti di un mercato abituato a vedere nella Puglia esclusivamente il grande serbatoio di vino sfuso a cui attingere. Non che non ci fosse e non ci sia verità in questa considerazione, l’aumento spropositato delle quantità di vino comune prodotto nel 2022 (oltre 10 milioni di ettolitri) sono una impietosa cartina di tornasole. Per fortuna oggi il mercato, più maturo, guarda a quanto di meglio la regione produce e mette in bottiglia.
Il Salice Salentino, tra quelle che hanno varcato i confini nazionali, è la denominazione più nota e rappresenta da tempo un riferimento per quanti desiderano leggere nel vino un territorio e la sua storia. L’uvaggio classico, Negroamaro con l’aggiunta di Malvasia Nera, è equilibrato e leggibile, dando vita a vini fortemente rappresentativi del territorio salentino.
Il Mani del Sud dei fratelli Apollonio rende giustizia alla denominazione, presentandosi con un bel colore rosso rubino intenso. I profumi sono classici e rappresentativi: mora, amarena, a cui si aggiungono quelli speziati di tabacco, cacao e vaniglia. In bocca è di buona struttura, calibrato, con ritorni di frutta speziata e ricordi di liquirizia. Il finale è persistente, i tannini si fanno sentire in misura equilibrata. La definizione di questo vino, nell’accezione moderna, potrebbe essere «gastronomico», sottolineando la sua capacità di stare a tavola, non sempre scontata.