Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Bellocchio e Canfora, confronto sul fascismo e l’oggi
Dopo la proiezione di «Vincere», ultimo film della retrospettiva dedicata al grande regista
«Un uomo di corta intelligenza, di dubbia moralità, ignorante e vanitosissimo». I diari di Benedetto Croce per rimettere la figura di Benito Mussolini nella giusta luce. Bussola per la conversazione ricca di suggestioni, tra cinema, storia e politica, tra lo storico Luciano Canfora e Marco Bellocchio che in un gremito Petruzzelli prende le mosse dal film Vincere e dal vile dittatore che rinchiuse in manicomio Ida Dalser, madre di suo figlio Benito.
Uno di quegli «enormi pupi siciliani» incapace, alla vigilia della guerra, anche di leggere i rapporti di forza in campo, la cui carriera sarà caratterizzata dal trasformismo immorale il gioco di specchi con il presente della politica è una costante del discorso -, e dalla disinvoltura nel coniugarsi con le forme di potere. «Non dimentichiamo – spiega Canfora – che senza la complicità della corona il fascismo non sarebbe mai andato al potere, il movimento ebbe vita grama. C’erano solo tre fascisti nel primo governo Mussolini». Violenza e razzismo («da molto prima delle leggi razziali») erano alla base dell’agire dell’ex socialista. «Ma quella fascista non fu vera rivoluzione – sottolinea -, fu una commedia mediocre messa in scena dalla parte minoritaria e più retriva della società italiana, con la complicità della piccola e media borghesia che temeva il propagarsi dell’esperienza socialista».
«Per questo film – chiarisce Bellocchio – fui attratto dall’ostinazione della Dalser di vedersi riconosciuta come moglie legittima di Mussolini, che l’ha portata a uccidere se stessa e poi suo figlio». Inoltre, «è un passaggio storico in cui mettersi in mostra diventa una forte arma di propaganda, una modalità che ispirò anche Hitler, Lenin e Stalin. E più di recente Berlusconi», aggiunge.
«Mi viene in mente - osserva Canfora - che quando De Gasperi andò negli Stati Uniti dopo la guerra, disse che aveva visto qualcosa con cui poter vincere le elezioni: la televisione!». Per l’autore de Il fascismo non è mai morto «nella scoperta dell’autorappresentazione e dell’utilizzo propagandistico dei mezzi di comunicazione, il cinema, la radio, le icone, in questi elementi è la vera modernità novecentesca del fascismo».