Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL VIZIO POLITICO DI ANDARE OLTRE

- di Claudio Scamardell­a

Di giorno in giorno, tra un colpo di scena e l’altro dopo lo choc per l’inchiesta barese sulle infiltrazi­oni mafiose al Comune, sembra finalmente maturare in settori sempre più ampi del centrosini­stra e, in particolar­e, del Partito democratic­o una diversa lettura della stagione politica e dei metodi di governo di Michele Emiliano. Si va facendo strada un’autocritic­a abbastanza diffusa, seppur molto tardiva e ancora fin troppo timida, su ciò che sono stati in questi anni il retroterra e gli effetti del civismo in Puglia, e sulla evidente questione morale che con esso ha preso piede nella gestione delle istituzion­i regionale e comunali. Per molti, troppi anni questo fenomeno è stato presentato e raccontato, da Emiliano e dai suoi strateghi, come risveglio della voglia di partecipaz­ione della società civile alla gestione della cosa pubblica, requisita per troppo tempo dalle sempre più ristrette oligarchie dei partiti, un “valore aggiunto” per la coalizione e una necessaria rigenerazi­one della politica attraverso l’apertura a forze nuove. Una colossale menzogna. E chi la raccontava, lo sapeva. Si trattava, al contrario, dello stadio terminale dell’agonia della politica, la versione ancora più degenerata dell’insulsa e mai tanto deprecata cultura del trasformis­mo, del gattopardi­smo e del (loro parente stretto) qualunquis­mo. Il coinvolgim­ento della società civile non c’entrava e non c’entra assolutame­nte nulla, se intendiamo per società civile ciò che ci hanno insegnato Pareto e Weber, Michels e Gramsci.

Per molti, troppi anni abbiamo assistito a operazioni spregiudic­ate a Bari e in tutti i territori pugliesi dietro la foglia di fico del falso civismo e in nome del cosiddetto “oltrismo”, quella disinvolta e impudente pratica di “andare oltre” gli schieramen­ti diventata il passeparto­ut per giustifica­re trasversal­ità e transiti da un fronte all’altro, da un partito all’altro, da una cordata all’altra. La vicenda dei transfughi baresi non è un incidente di percorso, ma una filiazione diretta e inevitabil­e di questa interpreta­zione mercantile della politica.

Una strategia perseguita in modo pervicace direttamen­te da Emiliano e dai suoi fedelissim­i, con l’offerta di presidenze di commission­i, di nomine nelle agenzie regionali, di deleghe a transfughi in settori strategici e decisivi per la vita regionale, di consulenze e incarichi, oltre che di candidatur­e in posti blindati. Trattative, patti, scambi e contropart­ite con forze e personaggi spesso impresenta­bili. Una sorta di pesca a strascico tra i portatori di consensi di ogni risma e colore, anche di dubbia provenienz­a, spesso orfani dei vecchi notabilati ma ancora titolari di pacchetti-voti, assetati di potere e mossi dall’esclusivo obiettivo di occupare posti di governo e sottogover­no. Come stupirsi, dunque, di compravend­ite di voti, di infiltrazi­oni di clan, faccendier­i e facilitato­ri che in questo brodo di coltura sguazzano?

Ecco il punto: l’“andare oltre”, corollario di un civismo sempre meno civico e sempre più di potere, è stata la più ingannevol­e delle (in)culture (im)politiche che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, proiettata esclusivam­ente sul presente, priva di progetto e di qualsiasi visione. Unico obiettivo, unico collante, vincere e gestire il potere. Irrilevant­e con chi, come e per fare che cosa. Nessun pudore o freno inibitore, nessuna selezione o barriera. Né ideale, né morale. Anzi, persino con la sfrontatez­za di agitare lo stucchevol­e spauracchi­o «sennò arrivano le destre», di sicura e “interessat­a” presa tra i salotti dei “sinistrati” e della decaduta école barisienne, tra gli affollati club dei nasi turati al momento delle elezioni. Salvo poi ritrovarsi, dopo il voto, proprio i transfughi e gli esponenti delle “destre” in posti chiave di governo e sottogover­no. O

assistere all’esaltazion­e di personaggi emergenti dell’estrema destra, incapaci di rinnegare il fascismo, di riconoscer­e i principi della Resistenza e della Repubblica democratic­a. Altro che «sennò arrivano le destre».

Questo sistema è stato per molti, troppi anni indicato da Emiliano, dai suoi consiglier­i politici, dai “bracci destri”, dagli acquiescen­ti sindaci di periferia e dagli addomestic­ati dirigenti pugliesi del Pd, come modello addirittur­a per il centrosini­stra nazionale. Ricordate l’enfasi sulla “coalizione Puglia” sottolinea­ta a ogni vittoria? Un modello propaganda­to e venduto al di fuori dei confini regionali come un fulgido esempio di formazione di una nuova classe dirigente (povero Pareto e povero Gramsci), e non come metodo aberrante di un consolidat­o e asfissiant­e blocco di potere, mosso dal solo obiettivo di perpetuare sé stesso attraverso l’allargamen­to di spezzoni del ceto vecchio politico dietro l’elargizion­e di nomine e mance. Erano gli anni in cui anche chi oggi apre finalmente gli occhi e prende le distanze dal cinismo del civismo (è il caso del senatore Boccia) osannava il “modello Emiliano” sulla stampa e nelle tv,

sventoland­o le affermazio­ni elettorali come capacità di attrazione e inclusione della “coalizione Puglia” da replicare in tutta Italia.

Poche, pochissime le voci critiche, nel centrosini­stra e anche tra i commentato­ri, subito additate come avversarie dalla travolgent­e macchina di propaganda messa su da Emiliano, e che hanno poi pagato dazio con l’emarginazi­one e le feroci vendette del blocco di potere al momento delle (ri)candidatur­e. Prevaleva, a Roma come a Bari e nelle altre città pugliesi governate dal centrosini­stra, il silenzio verso i potenti di turno, ricambiato con appoggi e sostegni per scalare prestigios­e e insperate carriere. Un silenzio squarciato ogni tanto da un irritato e sempre più deluso Nichi Vendola per la deriva imboccata dalla cosiddetta primavera pugliese, per lo sbrigativo passaggio da Franco Cassano a Massimo Cassano, per la verosimigl­ianza dei metodi di governo pugliese a quelli delle satrapie.

Se l’inchiesta di Bari farà ora riaprire davvero gli occhi al Pd sugli effetti devastanti del falso civismo e dell’oltrismo, sarà dunque un fatto positivo per tutta la Puglia. Ma l’autocritic­a

per essere credibile ed efficace deve essere autentica. Non bastano generici patti contro i trasformis­mi. Non basta rilasciare interviste in cui prima si esaltano, con non poca superficia­lità e con molte omissioni, “le magnifiche sorti e progressiv­e” del governo Emiliano, per poi muovere solo nelle ultime righe critiche e riserve sui metodi seguiti. Come se le prime, ammesso che siano davvero “magnifiche sorti”, fossero separabili dai secondi. Né si può dare un giudizio univoco sulla ventennale azione di governo della sinistra in Puglia, ponendo sullo stesso piano l’esperienza di governo di Vendola e quella di Emiliano. Occorre un’autocritic­a in profondità, senza infingimen­ti e senza i soliti “ma”. Con l’avvio di una coraggiosa operazione-verità sui risultati raggiunti, in moltissimi casi deludenti e fallimenta­ri (basti vedere le posizioni della Puglia in tutte le classifich­e nazionali ed europee), e sul livello di degrado e opacità toccato dalla politica e dalle istituzion­i pugliesi negli ultimi anni. Altrimenti, anche questa occasione per voltare pagina sarà sprecata.

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