Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
IL VIZIO POLITICO DI ANDARE OLTRE
Di giorno in giorno, tra un colpo di scena e l’altro dopo lo choc per l’inchiesta barese sulle infiltrazioni mafiose al Comune, sembra finalmente maturare in settori sempre più ampi del centrosinistra e, in particolare, del Partito democratico una diversa lettura della stagione politica e dei metodi di governo di Michele Emiliano. Si va facendo strada un’autocritica abbastanza diffusa, seppur molto tardiva e ancora fin troppo timida, su ciò che sono stati in questi anni il retroterra e gli effetti del civismo in Puglia, e sulla evidente questione morale che con esso ha preso piede nella gestione delle istituzioni regionale e comunali. Per molti, troppi anni questo fenomeno è stato presentato e raccontato, da Emiliano e dai suoi strateghi, come risveglio della voglia di partecipazione della società civile alla gestione della cosa pubblica, requisita per troppo tempo dalle sempre più ristrette oligarchie dei partiti, un “valore aggiunto” per la coalizione e una necessaria rigenerazione della politica attraverso l’apertura a forze nuove. Una colossale menzogna. E chi la raccontava, lo sapeva. Si trattava, al contrario, dello stadio terminale dell’agonia della politica, la versione ancora più degenerata dell’insulsa e mai tanto deprecata cultura del trasformismo, del gattopardismo e del (loro parente stretto) qualunquismo. Il coinvolgimento della società civile non c’entrava e non c’entra assolutamente nulla, se intendiamo per società civile ciò che ci hanno insegnato Pareto e Weber, Michels e Gramsci.
Per molti, troppi anni abbiamo assistito a operazioni spregiudicate a Bari e in tutti i territori pugliesi dietro la foglia di fico del falso civismo e in nome del cosiddetto “oltrismo”, quella disinvolta e impudente pratica di “andare oltre” gli schieramenti diventata il passepartout per giustificare trasversalità e transiti da un fronte all’altro, da un partito all’altro, da una cordata all’altra. La vicenda dei transfughi baresi non è un incidente di percorso, ma una filiazione diretta e inevitabile di questa interpretazione mercantile della politica.
Una strategia perseguita in modo pervicace direttamente da Emiliano e dai suoi fedelissimi, con l’offerta di presidenze di commissioni, di nomine nelle agenzie regionali, di deleghe a transfughi in settori strategici e decisivi per la vita regionale, di consulenze e incarichi, oltre che di candidature in posti blindati. Trattative, patti, scambi e contropartite con forze e personaggi spesso impresentabili. Una sorta di pesca a strascico tra i portatori di consensi di ogni risma e colore, anche di dubbia provenienza, spesso orfani dei vecchi notabilati ma ancora titolari di pacchetti-voti, assetati di potere e mossi dall’esclusivo obiettivo di occupare posti di governo e sottogoverno. Come stupirsi, dunque, di compravendite di voti, di infiltrazioni di clan, faccendieri e facilitatori che in questo brodo di coltura sguazzano?
Ecco il punto: l’“andare oltre”, corollario di un civismo sempre meno civico e sempre più di potere, è stata la più ingannevole delle (in)culture (im)politiche che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, proiettata esclusivamente sul presente, priva di progetto e di qualsiasi visione. Unico obiettivo, unico collante, vincere e gestire il potere. Irrilevante con chi, come e per fare che cosa. Nessun pudore o freno inibitore, nessuna selezione o barriera. Né ideale, né morale. Anzi, persino con la sfrontatezza di agitare lo stucchevole spauracchio «sennò arrivano le destre», di sicura e “interessata” presa tra i salotti dei “sinistrati” e della decaduta école barisienne, tra gli affollati club dei nasi turati al momento delle elezioni. Salvo poi ritrovarsi, dopo il voto, proprio i transfughi e gli esponenti delle “destre” in posti chiave di governo e sottogoverno. O
assistere all’esaltazione di personaggi emergenti dell’estrema destra, incapaci di rinnegare il fascismo, di riconoscere i principi della Resistenza e della Repubblica democratica. Altro che «sennò arrivano le destre».
Questo sistema è stato per molti, troppi anni indicato da Emiliano, dai suoi consiglieri politici, dai “bracci destri”, dagli acquiescenti sindaci di periferia e dagli addomesticati dirigenti pugliesi del Pd, come modello addirittura per il centrosinistra nazionale. Ricordate l’enfasi sulla “coalizione Puglia” sottolineata a ogni vittoria? Un modello propagandato e venduto al di fuori dei confini regionali come un fulgido esempio di formazione di una nuova classe dirigente (povero Pareto e povero Gramsci), e non come metodo aberrante di un consolidato e asfissiante blocco di potere, mosso dal solo obiettivo di perpetuare sé stesso attraverso l’allargamento di spezzoni del ceto vecchio politico dietro l’elargizione di nomine e mance. Erano gli anni in cui anche chi oggi apre finalmente gli occhi e prende le distanze dal cinismo del civismo (è il caso del senatore Boccia) osannava il “modello Emiliano” sulla stampa e nelle tv,
sventolando le affermazioni elettorali come capacità di attrazione e inclusione della “coalizione Puglia” da replicare in tutta Italia.
Poche, pochissime le voci critiche, nel centrosinistra e anche tra i commentatori, subito additate come avversarie dalla travolgente macchina di propaganda messa su da Emiliano, e che hanno poi pagato dazio con l’emarginazione e le feroci vendette del blocco di potere al momento delle (ri)candidature. Prevaleva, a Roma come a Bari e nelle altre città pugliesi governate dal centrosinistra, il silenzio verso i potenti di turno, ricambiato con appoggi e sostegni per scalare prestigiose e insperate carriere. Un silenzio squarciato ogni tanto da un irritato e sempre più deluso Nichi Vendola per la deriva imboccata dalla cosiddetta primavera pugliese, per lo sbrigativo passaggio da Franco Cassano a Massimo Cassano, per la verosimiglianza dei metodi di governo pugliese a quelli delle satrapie.
Se l’inchiesta di Bari farà ora riaprire davvero gli occhi al Pd sugli effetti devastanti del falso civismo e dell’oltrismo, sarà dunque un fatto positivo per tutta la Puglia. Ma l’autocritica
per essere credibile ed efficace deve essere autentica. Non bastano generici patti contro i trasformismi. Non basta rilasciare interviste in cui prima si esaltano, con non poca superficialità e con molte omissioni, “le magnifiche sorti e progressive” del governo Emiliano, per poi muovere solo nelle ultime righe critiche e riserve sui metodi seguiti. Come se le prime, ammesso che siano davvero “magnifiche sorti”, fossero separabili dai secondi. Né si può dare un giudizio univoco sulla ventennale azione di governo della sinistra in Puglia, ponendo sullo stesso piano l’esperienza di governo di Vendola e quella di Emiliano. Occorre un’autocritica in profondità, senza infingimenti e senza i soliti “ma”. Con l’avvio di una coraggiosa operazione-verità sui risultati raggiunti, in moltissimi casi deludenti e fallimentari (basti vedere le posizioni della Puglia in tutte le classifiche nazionali ed europee), e sul livello di degrado e opacità toccato dalla politica e dalle istituzioni pugliesi negli ultimi anni. Altrimenti, anche questa occasione per voltare pagina sarà sprecata.