ARRIVANO I SENATORI SINDACI
Oltre alla nuova figura del «consigliere provinciale-senatore» (a mezzo servizio), la riforma costituzionale del Senato in via di approvazione prevede anche quella dei «sindacisenatori», anch’essi evidentemente a mezzo servizio: si stabilisce infatti che il Consiglio provinciale elegga anche un primo cittadino che rappresenterà le istituzioni territoriali del Trentino.
La sovrapposizione dei due ruoli presenta un aspetto critico ancora più urgente di quanto si possa rilevare a proposito dei consiglieri provinciali. Il sindaco, infatti, è unico. I suoi compiti sono essenzialmente di amministrazione e soprattutto richiedono un impegno pressoché quotidiano. Pretendere che un sindaco (serio) passi almeno tre giorni lavorativi ogni settimana a Roma per fare il senatore (serio) significa impedirgli di svolgere «seriamente» tanto l’uno quanto l’altro dei due mandati che si vengono a cumulare.
L’unica cosa che non si somma è la remunerazione: continuerebbe a essere quella, unica, del sindaco, tutta a carico del Comune. Sicché per i cittadini-contribuenti, alla beffa del primo cittadino «assente giustificato per mandato senatoriale», si aggiungerebbe il danno tanto di uno stipendio pieno pagato per un impegno svolto a metà, quanto di una retribuzione più consistente da versare, verosimilmente, al vicesindaco, che in una simile situazione diventa un personaggio chiave e imprescindibile.
Con il tempo, la prospettiva di essere eletto senatore potrà anche essere un incentivo a candidarsi alla massima carica comunale senza però una reale intenzione di fare davvero il sindaco. Una sorta di scorciatoia verso Roma, insomma, da percorrere astutamente grazie alle alchimie di partito che inevitabilmente reggeranno la scelta dell’eletto (il manuale Cencelli non esiste solo a Roma). C’è da temere, infatti, che uno degli esiti della riforma sia più di dirottare personale politico verso la candidatura fittizia a sindaco, come trampolino di lancio per il Senato, che come strumento per proiettare al Senato le autentiche istanze dei Comuni del territorio. Del resto, non ci si improvvisa senatori.
Anche in tale circostanza, peraltro, si potrebbero elaborare criteri meno arbitrari e opachi, cercando in qualche modo di favorire un riconoscimento alla partecipazione indiretta dei cittadini. Come? Scegliendo ad esempio il sindaco percentualmente più votato nel proprio Comune; dando vita a una rotazione tra le Comunità di valle, ovvero fra gruppi linguistici, conferendo il laticlavio a un sindaco cimbro, mòcheno, ladino o italofono che rappresenti il pluralismo linguistico riflesso nelle istituzioni territoriali.
Andrebbe poi predisposta una regola di condotta seria e trasparente in base alla quale chi si candida a sindaco del proprio Comune debba manifestare la volontà di accettare o meno una eventuale candidatura al Senato, di modo che i cittadini sappiano se vanno a eleggere una persona a mezzo servizio o a tempo pieno. Tutto ciò, naturalmente, se non si vuole assecondare la visione di un Senato che sia un mero passacarte del presidente del Consiglio.