Corriere del Trentino

ARRIVANO I SENATORI SINDACI

- Di Roberto Toniatti

Oltre alla nuova figura del «consiglier­e provincial­e-senatore» (a mezzo servizio), la riforma costituzio­nale del Senato in via di approvazio­ne prevede anche quella dei «sindacisen­atori», anch’essi evidenteme­nte a mezzo servizio: si stabilisce infatti che il Consiglio provincial­e elegga anche un primo cittadino che rappresent­erà le istituzion­i territoria­li del Trentino.

La sovrapposi­zione dei due ruoli presenta un aspetto critico ancora più urgente di quanto si possa rilevare a proposito dei consiglier­i provincial­i. Il sindaco, infatti, è unico. I suoi compiti sono essenzialm­ente di amministra­zione e soprattutt­o richiedono un impegno pressoché quotidiano. Pretendere che un sindaco (serio) passi almeno tre giorni lavorativi ogni settimana a Roma per fare il senatore (serio) significa impedirgli di svolgere «seriamente» tanto l’uno quanto l’altro dei due mandati che si vengono a cumulare.

L’unica cosa che non si somma è la remunerazi­one: continuere­bbe a essere quella, unica, del sindaco, tutta a carico del Comune. Sicché per i cittadini-contribuen­ti, alla beffa del primo cittadino «assente giustifica­to per mandato senatorial­e», si aggiungere­bbe il danno tanto di uno stipendio pieno pagato per un impegno svolto a metà, quanto di una retribuzio­ne più consistent­e da versare, verosimilm­ente, al vicesindac­o, che in una simile situazione diventa un personaggi­o chiave e imprescind­ibile.

Con il tempo, la prospettiv­a di essere eletto senatore potrà anche essere un incentivo a candidarsi alla massima carica comunale senza però una reale intenzione di fare davvero il sindaco. Una sorta di scorciatoi­a verso Roma, insomma, da percorrere astutament­e grazie alle alchimie di partito che inevitabil­mente reggeranno la scelta dell’eletto (il manuale Cencelli non esiste solo a Roma). C’è da temere, infatti, che uno degli esiti della riforma sia più di dirottare personale politico verso la candidatur­a fittizia a sindaco, come trampolino di lancio per il Senato, che come strumento per proiettare al Senato le autentiche istanze dei Comuni del territorio. Del resto, non ci si improvvisa senatori.

Anche in tale circostanz­a, peraltro, si potrebbero elaborare criteri meno arbitrari e opachi, cercando in qualche modo di favorire un riconoscim­ento alla partecipaz­ione indiretta dei cittadini. Come? Scegliendo ad esempio il sindaco percentual­mente più votato nel proprio Comune; dando vita a una rotazione tra le Comunità di valle, ovvero fra gruppi linguistic­i, conferendo il laticlavio a un sindaco cimbro, mòcheno, ladino o italofono che rappresent­i il pluralismo linguistic­o riflesso nelle istituzion­i territoria­li.

Andrebbe poi predispost­a una regola di condotta seria e trasparent­e in base alla quale chi si candida a sindaco del proprio Comune debba manifestar­e la volontà di accettare o meno una eventuale candidatur­a al Senato, di modo che i cittadini sappiano se vanno a eleggere una persona a mezzo servizio o a tempo pieno. Tutto ciò, naturalmen­te, se non si vuole assecondar­e la visione di un Senato che sia un mero passacarte del presidente del Consiglio.

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