«Sempre meno pellegrini Mancano gli ideali forti»
Fra Francesco Patton: «Con le nostre scuole costruiamo percorsi di pace»
Dal 6 giugno fra Francesco Patton è il Custode di Terrasanta, dei luoghi più sacri della cristianità. «I pellegrini sono però diminuiti negli ultimi anni: paura e crisi giocano un ruolo, ma anche la secolarizzazione» spiega. «Sono stato in Siria a incontrare i frati, la situazione è molto difficile».
A pochi passi dalla Porta di Giaffa e dalla basilica del Santo Sepolcro, nella città vecchia di Gerusalemme, il monastero di San Salvatore offre il suo ingresso al riparo di una volta sulla Saint Francis street. L’andirivieni di pellegrini si è allentato nell’ultimo periodo e sparigliato rispetto alle tradizionali mete di provenienza disegnando nuove mappe di fede. «Paura e crisi economica hanno avuto un peso, certamente. Ma credo ci sia di fondo un problema di motivazioni che un tempo spingevano le persone a diventare pellegrini. In Occidente la secolarizzazione procede spedita e ne osserviamo il segno» riflette fra Francesco Patton, da pochi mesi guida della Custodia di Terrasanta, avamposto del cattolicesimo in Medio Oriente con giurisdizione su Israele, territori palestinesi, Libano, Siria, Egitto, Giordania e con estensioni negli Stati Uniti, Argentina, Grecia, Spagna e Italia (Napoli). Sotto l’ombrello della Custodia rientrano cinquanta santuari — tutti i luoghi sacri del cristianesimo —, conventi e 250 frati francescani di 40 nazionalità.
Fra Patton, come è stato il suo ingresso a Gerusalemme e che situazioni ha trovato in Medio Oriente?
«Ho dedicato questi mesi a visitare le nostre comunità e le opere che portiamo avanti. Ovviamente sono realtà diversificate; in Siria — dove ho incontrato i frati di Damasco, Latakia e Aleppo — la situazione è molto difficile e la gente sta soffrendo sempre di più».
Avete notizie di padre Paolo Dall’Oglio, rapito dai jihadisti nel luglio del 2013?
«Purtroppo no. È estremamente complesso individuare canali di comunicazione».
Come si divide la vostra attività in Terrasanta?
«In tutti i luoghi dove siamo presenti la nostra quotidianità è segnata dalla preghiera e dalla dimensione comunitaria. Le attività variano a seconda delle strutture: chi vive in un santuario ha come impegno prevalente accogliere i pellegrini che negli ultimi anni sono, ahimè, calati notevolmente; chi presta il suo servizio in parrocchia si occupa di questioni pastorali e dei bisogni delle persone con opere che vanno dal social housing al sostegno dei poveri. Poi gestiamo una quindicina di scuole, esperienze fondamentali, a cui sono iscritti studenti di diverse confessioni religiose. In alcune gli islamici raggiungono l’80%. Sono uno strumento per costruire la pace in una prospettiva di medio-lungo termine».
In quale misura sono diminuiti i pellegrini e quali le ragioni?
«Secondo i dati ufficiali del ministero del turismo israeliano nel 2015 l’affluenza di pellegrini dall’Italia è calata del 24% rispetto all’anno precedente (la decrescita si è verificata in tutto l’Occidente, ndr). Complessivamente credo che le ragioni siano tre. Intanto la paura di attentati terroristici che è infondata poiché a nessun pellegrino è mai accaduto nulla in Terrasanta. In secondo luogo, la crisi economica che affligge molti Paesi tra cui l’Italia. Infine, i pellegrini sono scemati perché sono venute meno le motivazioni ideali che li spingevano a partire per un viaggio religioso. Come dice Zygmunt Bauman il pellegrino è qualcosa di diverso da un turista. Quest’ultimo pensa che con una buona carta di credito si possa andare ovunque e risolvere ogni problema. Il pellegrino compie un viaggio che è la metafora del cammino di vita. Se uno si reca al Santo Sepolcro, che per noi è il santuario più importante, in pochi metri ha i luoghi del calvario e della crocefissione e può richiamare alla mente il mistero della morte e passione di Gesù. Scendendo nella tomba vuota si percepisce come la morte non ha l’ultima parola sulla vita».
Eppure, non è improprio oggi parlare di un ritorno alla religione con modalità e forme differenti rispetto al passato.
«Se rimaniamo nel perimetro del cristianesimo, ciò è vero rispetto ad alcuni continenti come l’Asia o l’Africa. Assistiamo ad una crescita dell’interesse religioso e ad un aumento dei pellegrini (+ 5% nell’anno scorso dai due continenti), per esempio, da Cina, Indonesia e Corea del Sud per quanto riguarda il fronte orientale; Nigeria e Kenya per l’Africa. Dall’Est Europa e dalla Russia arrivano tantissimi ortodossi, per alcune festività sono numerosi anche i flussi dall’Etiopia».
E dall’Europa occidentale?
«La secolarizzazione continua con intensità crescente. Poi, all’interno della secolarizzazione, si apre anche uno spazio per una nuova domanda sul significato della vita. Tuttavia, non vorrei che si confondesse la domanda religiosa con la fede autentica. Per i sociologi delle religioni anche gli oroscopi rientrano nella categoria della domanda religiosa».
Insieme a greco-ortodossi e armeni gestite i luoghi più sacri del cristianesimo attraverso la regola dello statu quo. Come procede la convivenza?
«Con le varie confessioni cristiane i rapporti sono ottimi, a detta di chi vive qui da tanti anni non sono mai stati così buoni. Incontro regolarmente il patriarca greco-ortodosso, il patriarca armeno, il vescovo coopto e quello degli etiopi, i vescovi anglicano e luterano in un clima di autentica fraternità».
Gerusalemme è una città santa per ebrei, cristiani e musulmani. Come sono i rapporti attualmente?
«Nella vita di tutti i giorni sono sostanzialmente buoni. Ci incontriamo in commissioni comuni che hanno lo scopo di promuovere il dialogo e che spesso organizzano iniziative per favorire la reciproca comprensione tra i giovani. Nella nostra Custodia lavorano professionisti ebrei e musulmani, le nostre scuole sono frequentate da studenti di differenti confessioni. Spesso, purtroppo, l’istantanea che si consegna all’opinione pubblica è impressa dalle componenti radicali e violente. E ciò è un male per tutti. Ovviamente non possiamo far cambiare gli altri, ma possiamo costruire relazioni diverse con gli altri. In pochi luoghi al mondo come Gerusalemme, ovviamente senza occultare le difficoltà, le persone possono esprimere la loro identità religiosa in modo così libero».
A novembre gli Stati Uniti sceglieranno il nuovo presidente tra Hillary Clinton e Donald Trump. Un crocevia importante anche per israeliani e palestinesi dopo i tentativi di riprendere i negoziati di pace andati a vuoto sotto l’amministrazione Obama e le continue ostilità manifestate (insediamenti di coloni israeliani, da un lato, e attentati palestinesi dall’altro). Cosa si aspetta?
«Il dialogo è lo strumento privilegiato per risolvere tutte le dispute, dunque ci auguriamo che possano riprendere i colloqui per una pace definitiva. Per quanto ci riguarda abbiamo legami sia con gli israeliani che con i palestinesi e speriamo che ciò possa in qualche misura essere utile alla causa».
Papa Francesco si è speso molto per il dialogo interreligioso: crede che potrà tornare presto in Terrasanta dopo la breve visita del 2014 ed avere magari un ruolo nel cammino di pace? Come valuta il suo papato?
«Papa Francesco ci esorta quotidianamente ad usare lo strumento del dialogo. Lui porta la Terrasanta nel cuore, se si presenterà l’occasione penso verrà volentieri. Per descrivere il suo papato utilizzerei l’espressione di Giovanni XXIII quando aprì il Concilio Vaticano II: disse che occorreva aprire le finestre per arieggiare le stanze della Chiesa. Sostanzialmente papa Francesco ha compiuto qualcosa di simile conservando la linea teologica e spingendo l’impegno della Chiesa verso un approccio sempre più pastorale. Il suo compito è avvicinare la Chiesa alle persone, rendere intellegibile la bontà di Dio. L’Occidente ha bisogno di speranza, è sotto gli occhi di tutti».
Da Trento a Gerusalemme, quali sono le sue sensazione a distanza di quattro mesi dall’insediamento?
«Porto il Trentino sempre nel cuore e sono felice di poter ricevere qui pellegrini e gruppi che provengono dalla provincia. Il mio venire a Gerusalemme l’ho vissuto come una seconda vocazione e ciò implica anche delle rinunce. Il Trentino ha anche un rapporto particolare con la Terrasanta, sia religioso che civile. Sono numerose le iniziative e i progetti in campo. Inoltre, qui sono stati a lungo padre Virginio Ravanelli (visse a Gerusalemme dal 1973 e morì due anni fa, fu docente allo Studium Biblicum Franciscanum, ndr), padre Pietro Kaswalder (biblista e archeologo, per 35 anni in Terrasanta, è scomparso nel 2014, ndr) e padre Casimiro Frapporti (per tanti anni in Palestina, è morto a metà settembre, ndr). Da loro ho imparato la passione per questi luoghi».
Nel 2015 il calo di fedeli dall’Italia è stato del 24%. Est Europa, Asia e Africa in controtendenza
La guerra Sono stato a Damasco, Aleppo e Latakia: la situazione è molto difficile e la gente soffre sempre di più
La città A Gerusalem me le persone possono esprimere liberamente la loro identità religiosa
Negoziati Lavoriamo con israeliani e palestinesi sperando di dare un contributo per una pace che sia definitiva