Corriere del Trentino

Referendum, Toniatti no al nuovo Senato «Finirà per riprodurre le divisioni locali»

Il dibattito del fronte del no. Ballardini: l’Autonomia non va indebolita

- Fabio Parola

TRENTO L’acceso dibattito sulla riforma costituzio­nale assume, in Trentino, toni ancora più intensi: l’impatto della riforma sull’autonomia regionale, infatti, è stato il cuore della tavola rotonda che lunedì, alla fondazione Caritro, ha ospitato Lidia Menapace, Renato Ballardini, Roberto Toniatti e Pasquale Profiti. La serata organizzat­a da «Percorsi ri-costituent­i» mirava, secondo l’organizzat­ore Andrea Pradi, a «fare informazio­ne contro gli slogan della campagna elettorale», nonostante al panel mancasse il contraddit­torio. In particolar­e, l’intreccio tra riforma del Senato e revisione dello Statuto di autonomia, secondo il costituzio­nalista Toniatti, «fa temere che Trento e Bolzano abbandonin­o il proposito dell’autonomia integrale» a favore di uno Statuto che «non dia fastidio» a Roma.

«Il mio non è un no a Renzi — chiarisce l’ex deputato Ballardini — perché le alternativ­e sono da brivido. Legare il governo al referendum, però, è stato un errore». Pur dicendosi «non contrario» all’eventualit­à di un’abolizione tout-court del Senato, Ballardini sostiene che la riforma non semplifich­erà l’attività legislativ­a, ma creerà «molti ricorsi per conflitti fra materie concorrent­i» tra le due Camere. Approfitta­re di riforma e revisione degli statuti di autonomia per eliminare la specialità, secondo Ballardini, è un errore: «Rafforzare il governo locale è fondamenta­le per un’Europa federale, che i politici devono realizzare anche se il popolo non è d’accordo». Anche secondo Menapace, femminista e ex deputata, la riforma «non è indirizzat­a a risolvere i problemi di Italia e Europa». Se il nostro Paese ha avuto «grande stabilità politica fino all’arrivo di Lega Nord e Movimento 5 stelle, occorre chiedersi cosa sia cambiato». Il problema, dunque, non sarebbe la necessità di un riassetto istituzion­ale, quanto più un «capitalism­o non in grado di selezionar­e la classe dirigente». «Voterò convintame­nte per il no — conclude Menapace — perché gli articoli fondamenta­li della Costituzio­ne ne escono sostanzial­mente intaccati». La sua proposta è «abolire l’articolo 7 (il concordato con i Vaticano, ndr) e inserire nel testo costituzio­nale la formula “cittadine e cittadini”».

Già protagonis­ta di diversi dibattiti sulla riforma, Toniatti si appella al «coraggio del dissenso» contro la «propaganda dilagante» attorno al referendum. Il fronte del sì, secondo il professore, punta sulla «quantità» delle voci a suo sostegno, mentre i costituzio­nalisti schierati per il no contrappon­gono, «senza arroganza, sia chiaro», la propria «qualità e profession­alità». Il punto, spiega Toniatti, è che «non esiste prova di un nesso causale fra bicamerali­smo perfetto e fragilità dell’esecutivo». Una decisa critica è poi mossa a chi, «con intento manipolato­rio, parla di “Senato delle regioni e delle autonomie”: la nuova Camera non sarà voce delle regioni, ma riproporrà le spaccature interne alle assemblee locali».

È una riforma «reazionari­a» quella che il magistrato Pasquale Profiti vede profilarsi: «Consolider­à interessi di gruppi di potere sempre più ristretti, scambiando le scorciatoi­e decisional­i per la capacità di risolvere i problemi».

Una revisione che non risolverà i problemi dell’Italia

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