«Narro il senso della vita E mi ispiro a Hitchcock»
Wonderland di Ciprì. Con il rifiuto all’offerta di Greenway
C’è la linea tratteggiata e c’è pure il disegnino delle forbici, eppure ci si casca sempre. Si pensa di fare prima e si apre il sacchetto con la mani, a strappo. Un secondo dopo, uno sguardo affranto osserva il contenuto sparso sul pavimento e non resta che sperare di poterlo recuperare tutto.
Ecco, al termine dell’intervista con Daniele Ciprì, regista di
Wonderland, la prima produzione stagionale del Teatro Stabile di Bolzano che andrà in scena al Comunale a partire dal 3 novembre, si ha quella sensazione lì. Perché Ciprì sforna decine di immagini e suggestioni una dopo l’altra e si finisce per aver paura di aver perso qualcuna di fondamentale, magari proprio quella battuta che avrebbe permesso di seguire il filo del discorso e di ricostruire la trama dello spettacolo.
Ma con il passare dei minuti si comprende che quel filo e quella trama non esistono, perché Ciprì non è un tessitore ma un artista libero uno che, in un eccesso di modestia, sostiene di non saper raccontare ma solo immaginare.
Ciprì non si limita a dar figura concreta a un oggetto del pensiero, ma riesce a rendere visibili e tangibili — che non significa razionali — interi universi umani. Lo fa anche in occasione di un’intervista rilasciata al bar che si limita a una sola domanda: «Come sarà lo spettacolo?». «L’idea iniziale, mia e di Stefano Bollani, era quella di portare a teatro un concerto per pianoforte che raccontasse il senso della vita. Ho immaginato due marziani di evidenti origini siciliane che arrivano sulla Terra e fanno danni tremendi e osservano un palazzo come Jeff, il personaggio di James Stewart di Una finestra sul cortile di Hitchcock. L’idea mi è venuta camminando per strada e osservando le finestre delle case che si spengono e si accendono illuminando le vite degli altri. Ho sempre pensato che siano i luoghi a fare la gente e a teatro mostrerò i caratteri dell’umanità che il cinema non mi consente di descrivere. I personaggi saranno sempre in scena, ci sarà una ragazza che immagina le immagini, un’artista sul viale del tramonto, un triste mietitore, uno chef e un personaggio in bianco e nero che mi permette di recuperare un materiale ormai dimenticato, lo spago, quello che serviva a chiudere le valigie dei nostri emigranti. Il ruolo di Stefano Bollani sarà essenziale, sarà il mio occhio, la mia macchina da presa, perché con la sua musica illuminerà i personaggi. Ha registrato le musiche per ogni carattere che andrà in scena, ma la sua musica non servirà solo a questo, deve anche accendermi certi momenti particolari. Magari verrà fuori una sorta di opera lirica, ma ci sarà soprattutto tanto cinema, che qualcuno potrà tentare di indovinare. Ci sarà anche un noir sbagliato, che evoca l’ultimo Mel Brooks e un pizzico di Billy Wilder. Evoco il cinema come ho già fatto nei miei film, perché non mi invento nulla, se non il mio personale registro: un cinema che vuole far sorridere e non ridere. Ringrazio il direttore Walter Zambaldi per avermi dato la possibilità di raccontare il cinema a teatro perché mi piace molto che sul palcoscenico tutto avvenga in una sola inquadratura come ai tempi di Cinico Tv. Ho solo il problema di non poter dire nulla mentre gli attori sono in scena, ma sto vivendo una bellissima esperienza, sono felicissimo».
Poi arriva una telefonata: è la produzione di Peter Greenaway che lo vorrebbe come direttore della fotografia dell’ultimo lavoro del regista britannico. Ma Ciprì è costretto a rifiutare, ora è impegnato qui a Bolzano.
L’idea mia e di Stefano Bollani era di portare un concerto a teatro Con la sua arte illuminerà i personaggi: evocherò il cinema