Tra inquietudine e movimento Il genio di Mattiacci
Apre la mostra curata da Maraniello Il direttore: «Valorizziamo l’energia sprigionata dalle opere Nel Motociclista emerge l’inquietudine di una generazione»
Il percorso La retrospettiva ripercorre la carriera dell’artista. C’è anche la famosa «Locomotiva»
I colori sono quelli caldi della terra, accompagnati dalle molteplici sfumature grigio opaco del metallo, e dai toni giocati tra l’arancio acceso e un ruggine intenso che evoca il paziente, inarrestabile potere del tempo. Le opere, di grandi dimensioni e distanti l’una dall’altra, scandiscono e forgiano lo spazio, estendendosi al di là della loro stessa presenza fisica. La percezione di questa attitudine ad andare oltre colpisce sin dall’ingresso in mostra: ecco, infatti, la Locomotiva (1964) ad accogliere il visitatore. Le sue ruote appaiono pronte a riprendere il viaggio mentre tra i pensieri riecheggiano i versi di Francesco Guccini: «E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano/ che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano».
È con l’energia trasmessa da questo «mostro strano» che entriamo nella poetica di Eliseo Mattiacci, l’esposizione a cura di Gianfranco Maraniello, da oggi e fino al 12 marzo 2017 visitabile al Mart di Rovereto.
Classe 1940, Eliseo Mattiacci è tra i massimi esponenti di quel ripensamento delle pratiche scultoree che si è realizzato, in maniera sistematica, a partire dalla metà degli anni Sessanta. A Rovereto, un’ampia retrospettiva ne ripercorre la carriera, dagli esordi sino ai nostri giorni, avvicinandosi in certo senso ad avverare il desiderio dell’artista, che afferma: «Vorrei che nel mio lavoro si avvertissero processi che vanno dall’età del ferro al Tremila». Un’iniziativa con cui il Mart, dopo Giuseppe Penone e Robert Morris, prosegue il ciclo di riflessione sulla scultura contemporanea.
Di «tappa fondamentale nella programmazione del museo» parla infatti il direttore del Mart Maraniello. Una mostra quella di Mattiacci che «è sempre, e non può che essere, un tentativo di corrispondere al senso e all’energia sprigionata dalle sue opere. Nella mappa costruita qui al Mart — prosegue — ritengo di individuare tre momenti principali. All’ingresso dell’esposizione ci sono dei lavori che anche cronologicamente rinviano alla prima produzione dell’artista. Credo sia un privilegio poter vedere Locomotiva, più volte ammirata in tante pubblicazioni di storia dell’arte, e grazie ad essa accorgersi, al contempo, che qualcosa cambia profondamente nella scultura a metà degli anni Sessanta».
Il direttore si sofferma quindi sugli elementi di analogia e di continuità tra la mostra dedicata a Mattiacci e quella su Boccioni, in corso anch’essa al Mart, in particolare sul «passaggio dal senso dell’iconografia di recupero dell’arcaico e del simbolico, sul trasferire l’idea di scultura da forma a dispositivo energetico attraverso il tema conduttore del disegno in Boccioni. In Mattiacci, invece, vediamo trasformare progressivamente la scultura da oggetto nello spazio a dispositivo energetico, e anche in questo caso abbiamo il contrappunto del disegno» specifica.
Se Locomotiva anticipa la prevalenza delle forme circolari lungo il percorso, a destra lo sguardo è catturato da Tavole
degli alfabeti primari (1972), che fa parte di un gruppo di opere prodotte per la Biennale di Venezia del 1972. Il linguaggio è al centro della riflessione proposta dalle dieci imponenti lastre di alluminio su cui sono incisi gli alfabeti egizio, islamico, greco, latino e di altre culture arcaiche. In Parafulmine. Attirafulmine (1965), poi, la forma circolare assume la consistenza di tre emblematiche sfere, evocando «il rapporto con l’energia invisibile che è uno dei temi ricorrenti della mostra» aggiunge Maraniello.
Dall’inizio cronologico dell’esposizione attraverso la circolarità che fa riferimento a un archetipo che non corrisponde certo a un visione lineare del tempo, dello spazio e della storia, approdiamo a opere come in cui si mette in luce «la dimensione totemica dei Sette corpi di energia (1973) e della
Cultura mummificata (1972), un insieme di libri che non sono più tali nel loro disporsi come forme, pagine che non scorrono più nella loro linearità. Da qui si sprigiona la forza poetica di un artista che evoca energie primarie» osserva ancora il direttore.
Il cuore della mostra è rappresentato dalla grande sala espositiva centrale «in cui per la prima volta ci sentiamo compagni di viaggio di una generazione che ha rivisto come una rivoluzione copernicana il proprio rapporto con lo spazio, percepito non più con la prospettiva umana ma con l’occhio di un extraterrestre grazie al progresso della scienza». Questa predisposizione all’esperienza dello spazio trova compiutezza nell’ultima sezione del percorso che si presenta con un forte carattere solidale. «Da una parte l’inquietudine del Motociclista proiettato nello spazio. Sotto il casco e la tuta da astronauta perde i caratteri identificativi» conclude Maraniello.