«Occidente e Islam si stanno già parlando»
Tariq Ramadan ieri all’auditorium: i musulmani non stiano sulla difensiva
TRENTO Il dialogo fra Occidente e Islam? Non solo non è un’utopia, ma è già in atto. Basta solo guardarsi attorno. «Abbiamo un problema di illusione ottica — sostiene Tariq Ramadan — siamo talmente ossessionati dalla minoranza di estremisti violenti e radicali, da dimenticare la maggioranza silenziosa: è a loro che dico di rendere il dialogo possibile iniziando a parlare, essendo espliciti, aperti». Ramadan, docente all’università di Oxford ma anche in Giappone, Qatar, Malesia e Marocco, è considerato uno dei massimi esponenti del pensiero islamico contemporaneo e ad ascoltare la sua lezione, ieri sera, all’Auditorium Santa Chiara sono venuti in tantissimi: un pubblico composito, colorato, tanti i giovani. Fare chiarezza nella confusione, padroneggiare le emozioni, vincere la pigrizia che spesso impedisce un corretto dialogo: per Ramadan è un impegno, una responsabilità. Per onorarla ha preso un volo dal Qatar diretto a Trento.
«Islam e Occidente non possono essere affrontati ragionando in termini dicotomici, significherebbe non essere consapevoli della propria storia — esordisce — tralasciare che l’apporto musulmano è stato costitutivo del pensiero occidentale che noi oggi maneggiamo sarebbe una grave omissione». «I sociologi dicono ci siano molti Islam perché non sanno affrontare la diversità — afferma il professore — io sostengo invece ce ne sia uno solo: pratiche e principi sono i medesimi, ma esistono differenze nell’interpretazione e nella cultura». E oggi che in Paesi come Francia, Gran Bretagna e Belgio gli immigrati raggiungono la quinta generazione, la seconda in Italia, essere «europei musulmani» significa per Ramadan «praticare lo stesso Islam, ma dal sapore europeo». Perché tutti abbiamo «identità plurali»: «Vorrei che sia europei sia musulmani lo capissero — esorta —e a questi ultimi dico: non pensate che vivere in Italia significhi solo obbedire alla legge. Un’appartenenza non formale è quella a una nazione, non a uno Stato». Secondo il professore «egiziano per memoria, svizzero per cittadinanza, europeo per cultura» i musulmani, inoltre, «dovrebbero essere più espliciti e aperti, non stare sulla difensiva»: «Evitando la mentalità vittimistica, sentendosi liberi di dire chi sono, quali valori condividono e quale sia il contributo che possono offrire alla società — sottolinea — Vorrei si parlasse di questo e non solo di Isis o Boko Haram». Perché secondo Ramadan sarebbe ora di andare oltre l’integrazione, oltre il semplice convivere (lo si può fare anche ignorandosi) per «parlare e lavorare insieme — conclude — perché questo significa riconoscersi reciprocamente».