MAGGIORANZA SENZA SPINTA
Nell’abecedario della politica, al capitolo grammatica di base, la prima lezione è che non si dà mai la colpa all’elettorato per l’esito di una votazione. Di geni incompresi il mondo ne ha conosciuti tanti — anche tra gli analisti — e questa regola elementare è buona assicurazione contro le tentazioni di autoassoluzione.
Il referendum di domenica ha registrato che persiste uno scollamento ampio tra alcune parti di società e il potere. Matteo Renzi ha perso nettamente il plebiscito improprio per i suoi limiti già ampiamente esaminati — narcisismo esasperato, inclinazione all’assolutismo politico, abuso della fiction, scarto tra storytelling e realtà dei fatti —, ma anche per l’incapacità di recuperare settori sociali al suo arco mancando nella loro emancipazione e rappresentazione.
Il voto ci restituisce così, come in una tela di Picasso, un mondo rovesciato e ricomposto con diverso ordine, talvolta dipinto con rabbia. La partecipazione è il segnale di vitalità — ossia di una base ancora disposta a farsi sfidare — a cui dovrebbe però seguire una riforma della politica (insieme alle istituzioni) perché è impossibile generare provvedimenti e sostenerli senza l’ausilio di soggettività e collettivi politici radicati.
Le urne in Trentino, in fin dei conti, dicono questo. Cioè che il sondaggio su Renzi è stato più forte di qualsiasi valutazione locale, nonostante l’Autonomia speciale fosse tra le poche istituzioni salvate nel progetto di ricentralizzazione del potere. Ciò congelerà nell’immediato il percorso per il Terzo statuto e ripresenterà alcune questioni sospese (A22 e delega sulla giustizia). I partiti hanno spostato poco o nulla — a differenza dell’Alto Adige dove l’Svp marca ancora la sua differenza di radicamento sia pure in un contesto profondamente diverso —, Piazza Dante idem. Il centrosinistra autonomista ne esce complessivamente indebolito perché dimostra di non avere forza propulsiva. Al suo interno, il Pd è disarmato. Rappresenta, in misura maggioritaria, una classe agiata, garantita, con ruolo e non propriamente verde (over 55). Lontano dai giovani (il 73% degli under 34 ha votato no secondo i rilevamenti nazionali) e dalle classi meno abbienti. L’espressione elettorale di Trento è piuttosto significativa. Cosa accadrà ora nell’area dem è difficile pronosticarlo, ma l’esito referendario palesa un disagio sociale e l’esigenza di ricostruire un’offerta attenta anche a sinistra.