Fabbrini: «In provincia un esito paradossale»
Il politologo: «Dem rissosi, ora si sposteranno al centro. Temo la sindrome spagnola»
TRENTO Elezioni anticipate e rischio di «sindrome spagnola», ovvero l’incapacità cronica a formare un governo. È questo lo scenario post referendario più probabile per Sergio Fabbrini, direttore della Luiss school of government. E il «no» del Trentino? «Un esito paradossale».
Professore, cosa ci dice il risultato referendario?
«Ci consegna uno sconfitto certo, Matteo Renzi, ma dei vincitori incerti: da Salvini a Berlusconi, da Grillo a Fassina e Bersani, le posizioni dei sostenitori del “no” sono altamente contraddittorie. Si palesa, dunque, una transizione difficile verso un governo post Renzi».
Cosa pensa dell’ipotesi di un governo prevalentemente tecnico guidato dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan?
«Non credo sia interesse di Renzi né del Pd, che in questo modo dovrebbero sobbarcarsi gli oneri senza gli onori. Posso immaginare una soluzione di tipo istituzionale, così da chiudere la legge di bilancio e soprattutto arrivare a una riforma elettorale, anche se si dovrà aspettare la decisione della Corte costituzionale sull’Italicum, che presumo arriverà a giorni o settimane».
Poi cosa accadrà?
«La logica politica porta a elezioni anticipate in primavera, con due leggi elettorali differenti per Camera e Senato: dubito infatti che il “parlamento del no” possa concordare una riforma elettorale, dunque si andrà al voto con l’Italicum corretto dalla Corte, dando vita a due maggioranze distinte alle Camere, in quanto le leggi elettorali avranno un forte carattere proporzionale e non ci sarà un vincitore. È probabile che l’Italia possa scivolare nella sindrome spagnola».
Non esiste un’alternativa a Renzi?
«Quella del referendum per il fronte del “no” potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro: quel 60% non ha un leader né un chiaro programma ed è attrarissosa, versato da venature sovraniste come quelle di Salvini o Grillo, che ingaggeranno una battaglia sanguinosa per attribuirsi la vittoria del referendum. Non vedo alternativa al Pd, seppure a un Pd sui generis, che sarà più aperto al centro, a Casini e all’area popolare e probabilmente addirittura chiuso a sinistra».
Quanto al Trentino?
«L’autonomia continuerà a sopravvivere. Il lavoro di preparazione del terzo Statuto dovrebbe andare avanti con una proposta condivisa. Ci saranno cambiamenti a livello dei partiti, che devono fare chiarezza al loro interno: il Pd non può continuare a essere una coalizione ma deve verificare il rapporto con l’area autonomista».
Come interpreta il «no» degli elettori in provincia?
«A differenza di Bolzano, c’è incertezza sull’autonomia e nasce dalle tante divisioni interne, da un Pd troppo litigioso a fronte di una Svp che sulle grandi questioni istituzionali mantiene coerenza e coesione. Anche in Trentino il voto è stato politico ed è un esito paradossale per una provincia che deve difendere la sua autonomia, attaccata soprattutto dai sostenitori del “no”. Il voto è legato alle divisioni interne e non all’interesse territoriale, ragione in più per il Pd e la classe dirigente per aprire la riflessione e prepararsi alle elezioni anticipate del 2017».