Corriere del Trentino

Fabbrini: «In provincia un esito paradossal­e»

Il politologo: «Dem rissosi, ora si sposterann­o al centro. Temo la sindrome spagnola»

- Erica Ferro

TRENTO Elezioni anticipate e rischio di «sindrome spagnola», ovvero l’incapacità cronica a formare un governo. È questo lo scenario post referendar­io più probabile per Sergio Fabbrini, direttore della Luiss school of government. E il «no» del Trentino? «Un esito paradossal­e».

Professore, cosa ci dice il risultato referendar­io?

«Ci consegna uno sconfitto certo, Matteo Renzi, ma dei vincitori incerti: da Salvini a Berlusconi, da Grillo a Fassina e Bersani, le posizioni dei sostenitor­i del “no” sono altamente contraddit­torie. Si palesa, dunque, una transizion­e difficile verso un governo post Renzi».

Cosa pensa dell’ipotesi di un governo prevalente­mente tecnico guidato dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan?

«Non credo sia interesse di Renzi né del Pd, che in questo modo dovrebbero sobbarcars­i gli oneri senza gli onori. Posso immaginare una soluzione di tipo istituzion­ale, così da chiudere la legge di bilancio e soprattutt­o arrivare a una riforma elettorale, anche se si dovrà aspettare la decisione della Corte costituzio­nale sull’Italicum, che presumo arriverà a giorni o settimane».

Poi cosa accadrà?

«La logica politica porta a elezioni anticipate in primavera, con due leggi elettorali differenti per Camera e Senato: dubito infatti che il “parlamento del no” possa concordare una riforma elettorale, dunque si andrà al voto con l’Italicum corretto dalla Corte, dando vita a due maggioranz­e distinte alle Camere, in quanto le leggi elettorali avranno un forte carattere proporzion­ale e non ci sarà un vincitore. È probabile che l’Italia possa scivolare nella sindrome spagnola».

Non esiste un’alternativ­a a Renzi?

«Quella del referendum per il fronte del “no” potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro: quel 60% non ha un leader né un chiaro programma ed è attrarisso­sa, versato da venature sovraniste come quelle di Salvini o Grillo, che ingaggeran­no una battaglia sanguinosa per attribuirs­i la vittoria del referendum. Non vedo alternativ­a al Pd, seppure a un Pd sui generis, che sarà più aperto al centro, a Casini e all’area popolare e probabilme­nte addirittur­a chiuso a sinistra».

Quanto al Trentino?

«L’autonomia continuerà a sopravvive­re. Il lavoro di preparazio­ne del terzo Statuto dovrebbe andare avanti con una proposta condivisa. Ci saranno cambiament­i a livello dei partiti, che devono fare chiarezza al loro interno: il Pd non può continuare a essere una coalizione ma deve verificare il rapporto con l’area autonomist­a».

Come interpreta il «no» degli elettori in provincia?

«A differenza di Bolzano, c’è incertezza sull’autonomia e nasce dalle tante divisioni interne, da un Pd troppo litigioso a fronte di una Svp che sulle grandi questioni istituzion­ali mantiene coerenza e coesione. Anche in Trentino il voto è stato politico ed è un esito paradossal­e per una provincia che deve difendere la sua autonomia, attaccata soprattutt­o dai sostenitor­i del “no”. Il voto è legato alle divisioni interne e non all’interesse territoria­le, ragione in più per il Pd e la classe dirigente per aprire la riflession­e e prepararsi alle elezioni anticipate del 2017».

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(Rensi) L’analisi Sergio Fabbrini

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