Start-up innovative «soffocate» «Il fondo di garanzia non serve»
Parla il dirigente Moser. «I controlli frutto del rigore estremo europeo»
TRENTO I problemi burocratici e bancari che hanno denunciato alcune start-up innovative del Trentino derivano dal «rigore estremo» imposto dall’Unione europea. In ogni caso per i progetti più recenti si è deciso di evitare il ricorso a fideiussioni, fatto che permette anche di risparmiarsi la costituzione di Fondi di garanzia ad hoc, decisione che potrebbe creare problemi, in quanto si verificherebbe un «contributo di contributo». Sono parole del dirigente generale del Dipartimento dello sviluppo economico della Provincia di Trento, Claudio Moser.
Sul Corriere del Trentino di domenica tre imprenditori, Massimiliano Mazzarella, Michele Gubert e Diego Taglioni, hanno spiegato il loro disagio. In pratica hanno ottenuto un contributo provinciale tramite bandi Fesr, impegnandosi però con una garanzia bancaria. Alla fine dei progetti di ricerca, dopo aver consegnato tutta la documentazione, le società si aspettavano di ricevere il saldo del contributo e soprattutto l’ok per sbloccare la fideiussione. Solo che i tempi si sono dilatati per via di errori burocratici — le spese non dovevano essere considerate in maniera forfettaria, ma rendicontate in maniera «pignola» —, soffocando l’operatività delle stesse imprese, al punto che a queste condizioni il contributo fa più male che bene.
«I bandi Fesr — spiega Moser — prevedono un sistema di controllo dell’erogazione dei fondi molto articolato. Le verifiche sono prima interne e poi sono previsti degli audit da parte di funzionari europei». «La sensazione trentina e italiana — continua — è che si metta in pratica un rigore estremo, per non dire rigidità, al fine di tirar fuori qualsiasi errore. Noi i bandi Fesr li abbiamo emessi a più riprese, nel 2008, 2009, 2011. Nel 2016 sono arrivati accertamenti, che chiedevano di mettere alcune cose a posto. E come si poteva agire? Chiedendo alle aziende il dettaglio di tutte le spese affrontate. È brutto chiedere le di tirar fuori le carte di progetti terminati da tempo». D’accordo il rigore, ma forse a saperlo prima un imprenditore si prepara. «Ma non si sapeva — chiarisce il dirigente —. Noi ritenevamo di essere a posto. Forse si tratta di un’imprecisione dell’Italia».
Moser comunque puntualizza: «Non possiamo permetterci di finanziare qualunque new.co, senza prevedere che cia sia una ricaduta in termini di produttività: l’attività deve rimanere in Trentino. Inoltre in passato richiedevamo anche delle fideiussioni: una forma di cautela corretta. Il problema magari è che queste fideiussioni sono molto lunghe: ma ricordiamoci che garantivamo un contributo del 70%».
I tre imprenditori si chiedono se sia possibile evitare certe costrizioni. «Il sistema è in parte cambiato da qualche anno — spiega il dirigente —. Una volta avevamo affidato l’operatività a Unicredit, ora invece le domande vengono inoltrate direttamente a noi in Provincia. I criteri sono nuovi — specifica — e l’erogazione del contributo è progressiva. Dando il sostegno un po’ alla volta non è più necessario ricorrere alla fideiussione». In questo modo si evita pure di ricorrere a strumenti come il Fondo di garanzia, che sarebbe servito per anticipare i soldi delle garanzie al posto delle start-up. «Ci avevamo pensato, ma si tratterebbe di un contributo per la garanzia erogato su un altro contributo. Una cosa non lineare, che potrebbe essere contestata» chiude Moser.