Le metamorfosi di San Sebastiano
Le prime notizie sul personaggio risalgono al 354. Si celebra il 20 gennaio Fu condannato ad essere trafitto dalle frecce. Ma morì nella Cloaca Massima
Il 20 di gennaio si festeggia san Sebastiano. Io che ho vissuto a Cavalese molto del tempo della mia infanzia, ricordo la chiesa che si trova proprio in cima alla «pontara» che portava a casa della nonna Teresa e poi la «Sagra de san Bastian» con relativa poesia dovuta all’estro della «zia Uti Hafner»: «Sula tor de san Bastian/campanò fa din don dan/festa grana a Cavales/ L’è la sagra del paes». «San Bastian con la viola en man” si diceva, alludendo alla speranza della fine dell’inverno e l’inizio della primavera.
San Bastian colpito da mille frecce nella iconografia ricorrente, anche se, come dice la leggenda aurea, non di frecce morì, ma affogato nella Cloaca Massima. Le notizie storiche su San Sebastiano sono davvero poche, ma la diffusione del suo culto ha resistito ai millenni, ed è tuttora molto viva. Secondo il più antico calendario della Chiesa di Roma, la Depositio martyrum risalente al 354, ricorda, il 20 gennaio, il «Commento al salmo 118» di Sant’Ambrogio (340-397), dove dice che Sebastiano era nato e cresciuto a Milano, da padre di Narbona (Francia meridionale) e da madre milanese, era stato educato nella fede cristiana, si trasferì a Roma nel 270 e intraprese la carriera militare intorno al 283, fino a diventare tribuno della prima coorte della guardia imperiale a Roma, stimato per la sua lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano. Grazie alla sua funzione, venne presto considerato una talpa del cristianesimo in seno al pretorio, Diocleziano così apostrofò il tribuno: «Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me, ingiuriando i miei dei». Sebastiano fu condannato ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in una zona del colle Palatino chiamato ‘campus’, fu colpito seminudo da tante frecce da sembrare un riccio; creduto morto dai soldati fu lasciato lì in pasto agli animali selvatici. Ma una nobile di nome Irene, prese a curarlo dalle numerose lesioni. Miracolosamente Sebastiano riuscì a guarire e poi nonostante il consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano e al suo associato Massimiano, mentre gli imperatori si recavano per le funzioni al tempio eretto da Elagabolo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato ad Ercole. Superata la sorpresa, dopo aver ascoltato i rimproveri di Sebastiano per la persecuzione contro i cristiani, innocenti delle accuse fatte loro, Diocleziano ordinò che questa volta fosse flagellato a morte; l’esecuzione avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino, il corpo fu gettato nella Cloaca Massima.
Questa la storia del santo, ma quello che più mi ha, da sempre colpita, è la metamorfosi della sua immagine. Infatti la storia di San Sebastiano nelle arti (visive e non) è una tra le più lunghe e ricche, forse può essere considerato uno dei santi più rappresentati della Chiesa Cattolica. Riconoscibile a colpo d’occhio, per via dell’iconografia che lo riguarda, costituita dalle frecce che gli penetrano il corpo, questa immagine è venuta a subire nel corso del tempo una quanto mai notevole evoluzione; passando dall’originaria figura di uomo barbuto di mezza età che indossa l’armatura a quella di adolescente muscoloso con un corpo intatto seminudo ed inerme. Nelle rappresentazioni del primo millennio lo si vede indossare la clamide militare come si conveniva alla sua professione di soldato, e sempre senza barba: un guerriero armato di scudo e spada. Durante l’epoca dell’arte gotica appare con un’armatura di maglie metalliche alla moda del tempo, ma presto anche con un ricco abito da nobile romano e di solito con la barba. Da allora in poi si è cominciato inoltre a rappresentarlo nudo al momento di essere colpito dalle frecce; soprattutto i gotici olandesi e tedeschi lo raffigurano ricoperto di ferite e col corpo magro ben evidenziato. Il primo attributo personale di riconoscimento è la corona di fiori in mano (San Bastian dalla viola in man?); a partire dall’alto Medioevo una freccia e un arco tra le mani. Dal tardo XV secolo gli artisti hanno scelto sempre più spesso di presentare la figura del santo come un giovinetto denudato, ancora completamente imberbe, con le mani strettamente legate al tronco di un albero o alla cima di una colonna mentre offre del tutto indifeso il petto alle frecce del carnefice. Nel Rinascimento Sebastiano appare in un’ampia serie di stampe e dipinti, fatto questo causato dalla sempre maggior popolarità tra i fedeli; ma la stessa frequente rappresentazione artistica è stata causa a sua volta di più ampia fama in mezzo alla massa dei credenti.
Tra gli artisti che hanno dipinto nel corso dei secoli a venire San Sebastiano col petto forato ci sono: Sandro Botticelli, Domenichino e Perugino, Tiziano Vecellio, Piero del Pollaiolo, Vittore Carpaccio e Amico Aspertini, Giovanni Cariani, Giovanni Bellini e Guido Reni (preso da un’autentica smania ossessiva, ha dipinto il soggetto — in maniera sempre differente — per ben otto volte), Andrea Mantegna (in tre versioni), e poi ancora Hans Memling e Matthias Grünewald, Gerrit van Honthorst, Luca Signorelli, El Greco, Honoré Daumier, John Singer Sargent e Louise Bourgeois. Anche una delle opere giovanili di Gianlorenzo Bernini è dedicata al santo martirizzato dai dardi appuntiti. Abbiamo la figura di San Sebastiano in tutte le arti dalla pittura alla scultura, al cinema, alla fotografia, al teatro alla musica. In letteratura abbiamo accenni a San Sebastiano da William Shakespeare a Thomas Mann a Vladimir Nabokov a Yukio Mishima a Garcia Lorca. Molti autori hanno dato a qualcuno dei loro personaggi principali il nome «Sebastiano», o hanno fatto diretti riferimenti alla figura del santo. Certo il santo era, tra l’altro, una delle poche figure nude che avevano il diritto di stare in una chiesa. Emblematico è l’episodio tramandato da Giorgio Vasari nelle Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori in merito al pittore Fra Bartolomeo. «[...] Laonde per prova fece in un quadro, un San Sebastiano ignudo con colorito molto alla carne simile, di dolce aria e di corrispondente bellezza alla persona parimente finito, dove infinite lode acquistò appresso agli artefici. Dicesi che, stando in chiesa per mostra questa figura, avevano trovato i frati nelle confessioni, donne che nel guardarlo avevano peccato per la leggiadria e lasciva imitazione del vivo, datagli dalla virtù di fra’ Bartolomeo; per il che levatolo di chiesa, lo misero nel capitolo [...]
Da qui il passo al perché del culto di alcuni santi dovuto alla loro immagine o meglio alla loro iconografia, è breve, ma segnante. Immagini, repertorio di rappresentazioni simboliche, di miti, l’insieme dei contenuti, che fanno leggere, anche nella rappresentazione dei santi, quella Bibbia dei poveri che fa da ponte fra il mondo immaginato e il mondo teatro della nostra vita, delle nostre passioni, della nostra morte, un mondo dove vi è posto per l’uomo anche nell’orrore del presente, nella caducità della precarietà, dove c’è posto per la speranza. Il resto è, forse, un gioco intellettuale.