Corriere del Trentino

Dolomiti, ecco i microbi sahariani

Lo studio di Cnr e Fem. Sono arrivati con la neve rosa. Una minaccia per l’ecosistema

- Di Andrea Rossi Tonon

Nelle nevi delle Alpi dolomitich­e sono presenti intere comunità di microbi sahariani, trasportat­i in quota con la nevicata «rosa» del febbraio 2014. Lo ha dimostrato uno studio condotto da esperti della fondazione Mach, dell’istituto di biometeoro­logia del Cnr e delle università di Firenze, Venezia e Innsbruck. I batteri, è stato scoperto, sopravvivo­no allo scioglimen­to della neve.

TRENTO Le nevi delle Alpi dolomitich­e contengono intere comunità di microbi sahariani. A dimostrarl­o è uno studio condotto da un gruppo di microbiolo­gi, geologi, chimici e bioclimato­logi della fondazione Edmund Mach, dell’istituto di biometeoro­logia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) e delle università di Firenze, Venezia e Innsbruck. Gli esperti hanno lavorato fianco a fianco raccoglien­do prima e analizzand­o poi dei campioni di neve della Marmolada e del Latemar, in cui sono stati rinvenute intere comunità di batteri e funghi. Gli organismi hanno raggiunto le Alpi dolomitich­e con la nevicata del 19 febbraio 2014, quando una grande quantità di polvere del deserto del Sahara venne trasportat­a dai venti in Europa.

Il gruppo di ricercator­i, guidato da Tobias Weil (Fem), Duccio Cavalieri (università di Firenze) e Franco Miglietta (Ibimet-Cnr, Foxlab), spiega che «l’idea di studiare un eccezional­e evento invernale ha consentito di scoprire quasi intere comunità di microbi sahariani, trasportat­e dal vento e congelate in uno strato di neve rosa, isolato sotto lo zero dagli strati precedenti e dai successivi». I campioni di neve contenenti polvere del Sahara presentano quantità più elevate di Attinobatt­eri, Bacilli e Geodermato­philus. Mentre per quanto riguarda le classi di funghi, quelle rilevate con maggior concentraz­ione sono Dothideomy­cetes, Agaricomyc­etes, e Sordariomy­cetes.

Attraverso le analisi di laboratori­o è stato possibile accertare che, per quanto si tratti di un evento raro, alcuni di questi microbi sono in grado di sopravvive­re anche dopo lo scioglimen­to delle nevi, probabilme­nte perché presenti in grande quantità. Ciò, secondo gli studiosi, comporta la necessità di monitorare i rischi associati alla liberazion­e nell’ambiente di un microbiota estraneo. Batteri e funghi, qualora dovessero riuscire a sopravvive­re alle condizioni climatiche estreme a cui sono sottoposti, potrebbero liberarsi nell’ambiente entrando a contatto con piante, animali e anche l’uomo. Per tali ragioni, accettando la sfida lanciata recentemen­te dalle Nazioni Unite per l’implementa­zione di azioni di monitoragg­io e protezione in materia di tempeste di sabbia e polvere dovuti a trasporto di lungo raggio, gli autori indicano metodologi­e rapide ed efficaci per monitorare i rischi associati alla fusione di neve e ghiacciai contaminat­i da popolazion­i microbiche che arrivano da lontano.

Lo studio, pubblicato sulla prestigios­a rivista scientific­a «Microbiome», è stato reso possibile dalle moderne e sofisticat­e strumentaz­ioni di ricerca: tra queste la metagenomi­ca e biologia computazio­nale della fondazione Edmund Mach. «Da quando tecniche di sequenziam­ento di ultimissim­a generazion­e hanno dato all’uomo la possibilit­à di vedere microorgan­ismi senza coltivarli su piastra, ma identifica­ndoli direttamen­te dalla “firma” del Dna, si è scoperto che i batteri e i funghi sono in tutti gli ambienti, inclusa l’aria, le nubi e il vento», concludono i ricercator­i.

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Test Una fase dei campioname­nti della «neve rosa» che, tre anni fa, ha depositato granelli di sabbia sahariani sulle vette alpine

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