Dolomiti, ecco i microbi sahariani
Lo studio di Cnr e Fem. Sono arrivati con la neve rosa. Una minaccia per l’ecosistema
Nelle nevi delle Alpi dolomitiche sono presenti intere comunità di microbi sahariani, trasportati in quota con la nevicata «rosa» del febbraio 2014. Lo ha dimostrato uno studio condotto da esperti della fondazione Mach, dell’istituto di biometeorologia del Cnr e delle università di Firenze, Venezia e Innsbruck. I batteri, è stato scoperto, sopravvivono allo scioglimento della neve.
TRENTO Le nevi delle Alpi dolomitiche contengono intere comunità di microbi sahariani. A dimostrarlo è uno studio condotto da un gruppo di microbiologi, geologi, chimici e bioclimatologi della fondazione Edmund Mach, dell’istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) e delle università di Firenze, Venezia e Innsbruck. Gli esperti hanno lavorato fianco a fianco raccogliendo prima e analizzando poi dei campioni di neve della Marmolada e del Latemar, in cui sono stati rinvenute intere comunità di batteri e funghi. Gli organismi hanno raggiunto le Alpi dolomitiche con la nevicata del 19 febbraio 2014, quando una grande quantità di polvere del deserto del Sahara venne trasportata dai venti in Europa.
Il gruppo di ricercatori, guidato da Tobias Weil (Fem), Duccio Cavalieri (università di Firenze) e Franco Miglietta (Ibimet-Cnr, Foxlab), spiega che «l’idea di studiare un eccezionale evento invernale ha consentito di scoprire quasi intere comunità di microbi sahariani, trasportate dal vento e congelate in uno strato di neve rosa, isolato sotto lo zero dagli strati precedenti e dai successivi». I campioni di neve contenenti polvere del Sahara presentano quantità più elevate di Attinobatteri, Bacilli e Geodermatophilus. Mentre per quanto riguarda le classi di funghi, quelle rilevate con maggior concentrazione sono Dothideomycetes, Agaricomycetes, e Sordariomycetes.
Attraverso le analisi di laboratorio è stato possibile accertare che, per quanto si tratti di un evento raro, alcuni di questi microbi sono in grado di sopravvivere anche dopo lo scioglimento delle nevi, probabilmente perché presenti in grande quantità. Ciò, secondo gli studiosi, comporta la necessità di monitorare i rischi associati alla liberazione nell’ambiente di un microbiota estraneo. Batteri e funghi, qualora dovessero riuscire a sopravvivere alle condizioni climatiche estreme a cui sono sottoposti, potrebbero liberarsi nell’ambiente entrando a contatto con piante, animali e anche l’uomo. Per tali ragioni, accettando la sfida lanciata recentemente dalle Nazioni Unite per l’implementazione di azioni di monitoraggio e protezione in materia di tempeste di sabbia e polvere dovuti a trasporto di lungo raggio, gli autori indicano metodologie rapide ed efficaci per monitorare i rischi associati alla fusione di neve e ghiacciai contaminati da popolazioni microbiche che arrivano da lontano.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica «Microbiome», è stato reso possibile dalle moderne e sofisticate strumentazioni di ricerca: tra queste la metagenomica e biologia computazionale della fondazione Edmund Mach. «Da quando tecniche di sequenziamento di ultimissima generazione hanno dato all’uomo la possibilità di vedere microorganismi senza coltivarli su piastra, ma identificandoli direttamente dalla “firma” del Dna, si è scoperto che i batteri e i funghi sono in tutti gli ambienti, inclusa l’aria, le nubi e il vento», concludono i ricercatori.